“Ci sono legami che non puoi sciogliere“. Questa frase lapidaria racchiude tutta la paura che pervade il nuovo thriller implacabile del regista francese Xavier Legrand
Il regista francese Xavier Legrand non può essere certo definito un regista di ‘genere‘. La sua opera prima, L’affido – Una storia di violenza (Jusqu’à la garde – 2017) Leone d’argento – Premio speciale per la regia a Venezia 74, è un intenso psico-dramma familiare con elementi legal-drama. Questo secondo film di Legrand, L’Erede (Le successeur, 2024) mette ancora al centro i legami familiari, ma facendo ricorso con disinvoltura ai linguaggi e topoi del thriller, del mistery e anche dell’horror, sulle orme dei maestri Hitchcock e Polanski, per esplorare il tormentato legame padre-figlio e le cicatrici invisibili dell’eredità familiare.
Tratto dal romanzo L’ascendant di Alexandre Postal, il film segue Ellias Barnès (efficacemente interpretato da Marc-André Grondin), un giovane e celebre stilista in ascesa che, dopo l’improvvisa morte del padre per un ictus, deve fare i conti con un’eredità tanto sgradita quanto ineludibile. Non solo la casa del genitore, ma anche il mistero che essa racchiude. Con un passato segnato da un distacco totale dal padre, Ellias non sembra sapere nulla dell’uomo se non la sua reputazione di persona poco amabile e crudele. Anche l’ex moglie, madre di Ellias, si dimostra disinteressata alla sorte dell’ex marito. Il fatto che non vengano mai rivelati esattamente i motivi del distacco nei confronti del defunto da parte dei suoi famigliari più stretti, genera nello spettatore un crescente senso di inquietudine. Il ritorno forzato alla casa paterna in Canada, metterà in luce tutta la fragilità emotiva di Ellias, che sin dall’inizio vediamo vittima di attacchi di panico e in preda all’ansia riguardo il suo stato di salute (forse cagionevole) che teme di aver ereditato dal padre.
L’incipit del film è particolarmente immersivo e coinvolgente per lo spettatore che può ammirare tutto il virtuosismo registico di Legrand: al ritmo di una musica incalzante, delle algide modelle dall’espressione cupa sfilano seguendo un percorso a spirale con il pubblico disposto ai bordi. Una spirale che sembra preannunciare, per il giovane stilista all’apice del successo, un percorso verso un male ineluttabile, come in True Detective. Infatti nella casa paterna Ellias si dovrà occupare, piuttosto controvoglia, della cerimonia funebre e della vendita e sgombero della proprietà. Inoltre i vicini di casa ed ex amici del padre si dimostreranno assai invadenti per il giovane stilista. Nei meandri della casa Ellias scoprirà un segreto agghiacciante dietro una porta chiusa a chiave. La scena in questione, che giunge inaspettata a metà film dopo un andamento iniziale piuttosto tranquillo, ad eccezione dei tormenti del protagonista ansioso ed ansiogeno, si rivela essere uno dei jump-scare più forti di sempre anche perché lo spettatore per via dell’oscurità e assordato da una serie di urla laceranti non capisce bene cosa succede. Se vogliamo ci troviamo di fronte a una versione più realistica di Barbarian altro horror che nasconde spiacevoli sorprese nelle cantine.
L’Erede si sviluppa in un crescendo di tensione e inquietudine, seguendo le orme di Hitchcock, con una regia che calibra perfettamente il ritmo tra momenti di introspezione e colpi di scena. La sceneggiatura, scritta da Legrand in collaborazione con Dominick Parenteau-Lebeuf, mescola generi diversi, passando dal dramma familiare a un thriller psicologico, per sfociare in un horror che tocca temi profondi legati alla violenza sulle donne. Ma la domanda impellente del film è: “Il male può essere ereditato?”. Questo dilemma che affligge il protagonista, lo porta anche ad agire in maniera così sconsiderata e assurda che i puristi del genere thriller potrebbero storcere il naso di fronte al comportamento autodistruttivo e poco credibile di Ellias. Ma questa forzatura serve al regista per far passare il suo messaggio in maniera inequivocabile: l’inevitabilità del confronto con l’eredità della figura paterna da cui è difficile, se non impossibile, sfuggire. Il film si nutre anche di altre paure, comuni a gran parte di noi: la paura di non riuscire ad affermarsi nella vita (il raggiungimento del successo professionale nel campo della moda nel caso Ellias), la paura della malattia, la paura di non saper affrontare il dolore o il lutto, e anche la paura (molto hitchcockiana) di non riuscire a sbarazzarsi di un cadavere. In questo senso, il film non è solo un racconto di suspense, ma anche un’indagine sull’influenza nefanda dei traumi familiari, un tema già esplorato da Legrand nel suo lavoro precedente. L’interpretazione di Marc-André Grondin, che veste i panni di Ellias, è di notevole intensità, portando sullo schermo la complessità di un personaggio fragile e tormentato dal desiderio di sfuggire alla figura paterna, ma che non può evitare di esserne imprigionato. La vulnerabilità (eccessiva) di Ellias gli impedisce di fare la scelta più giusta e logica quando scoprirà nei recessi della casa il terribile segreto del padre.
Le scelte di regia e fotografia contribuiscono a creare un’atmosfera inquietante, con un utilizzo sapiente degli spazi chiusi e dei silenzi che rendono ogni scena carica di significato. L’edificio stesso, un luogo carico di memoria e segreti, diventa un personaggio a parte, un contenitore di verità non dette e violenze nascoste. Legrand riesce a costruire una narrazione avvolgente, che non dà risposte facili, anzi dopo un altro colpo di scena verso la fine, ci consegna un finale ambiguo e irrisolto, limite ma anche punto di forza di un’opera oscura e angosciante che ricorda un altro grande thriller perturbante, Prisoners (2013) di Denis Villeneuve.
Titolo originale: Le successeur
Produzione: 2023 – Francia, Canada, Belgio – Durata: 112’
Regia: Xavier Legrand
Sceneggiatura: Xavier Legrand, Dominick Parenteau-Lebeuf
Fotografia: Nathalie Durand
Interpreti: Marc-André Grondin, Yves Jacques, Laetitia Isambert-Denis, Anne-Élisabeth Bossé, Blandine Bury, Vincent Leclerc, Louis Champagne