Nell’età dell’oro del giallo-horror all’italiana, sempre in bilico tra slasher ed exploitation, Il profumo della signora in nero (1974) merita senza dubbio di essere riscoperto e rivalutato. Quando nei cinema nostrani andavano per la maggiore i thriller sanguinari d’ispirazione argentiana, quest’opera di Francesco Barilli si distinse con originalità per le sue suggestioni polanskiane.
Trama – La giovane imprenditrice Silvia Hacherman, vive e lavora a Roma in apparente serenità. Una sera, nel corso di una cena a casa di amici, Silvia, accompagnata dal fidanzato Roberto, rimane colpita da una discussione di un professore di sociologia africano, Andy, riguardo agli oscuri riti di magia nera che vengono praticati ancora in Africa. Profondamente e inspiegabilmente turbata dalla discussione, Silvia comincia a rammentare nei giorni seguenti frammenti di ricordi tragici e misteriosi risalenti alla sua infanzia che sembrano riguardare in particolare la morte e il ricordo della madre, vestita di nero. Da questo momento la situazione precipita e per Silvia, perseguitata da allucinazioni inspiegabili, diventa sempre più difficile distinguere la realtà dall’incubo…
In una Roma estiva e luminosa, eppure al contempo deserta e minacciosa, Barilli ci conduce, attraverso gli occhi della protagonista, in una vicenda misteriosa dai contorni indefiniti, quasi onirici, capace di generare lentamente una vaga inquietudine destinata a crescere inesorabile con il passare dei minuti. Inevitabile non citare a questo proposito il capolavoro di Roman Polanski Rosemary’s Baby, capostipite moderno degli horror psicologici cospirazionistici dai risvolti paranormali, che sicuramente ha influenzato l’opera di Barilli. Eppure qui il diavolo e i suoi accoliti non centrano niente; viene lasciato allo spettatore il compito di orientarsi in una storia dove l’orrore è più intuito che mostrato e che vede la presenza di una sorta di setta pagana africana dagli scopi enigmatici, operante nel cuore di Roma. E in questa sua indeterminatezza consiste il fascino insolito di Il profumo della signora in nero, pellicola che si vuole apparentemente discostare dai thriller sanguinolenti in voga all’epoca grazie al suo ritmo lento e alle atmosfere suggestive create con eleganza da una fotografia cromaticamente raffinata e dalle musiche malinconiche di Nicola Piovani (futuro premio Oscar per le musiche de La Vita è bella nel 1999 di Benigni). La fragile e paranoica protagonista, interpretata con partecipazione dalla bionda Mimsy Farmer richiama fortemente alla memoria altre sventurate figure femminili come la Mia Farrow di Rosemary’s Baby e la Catherine Deneuve di Repulsion. Anche tutti i personaggi di contorno, a cominciare dai vicini casa di Silvia dal comportamento affabile ma bizzarro, contribuiscono a creare gradualmente un clima ambiguo e oppressivo dove potenzialmente non ci si può fidare di nessuno. Ma è nello scioccante finale di inaspettato (e per questo efficace) stampo cannibalesco, che Barilli ci sorprende con un bel pugno allo stomaco, dando improvvisamente un significato, inconcepibile e agghiacciante al tempo stesso, a tutta la vicenda, in precedenza caratterizzata principalmente dalle visioni della protagonista sull’orlo della follia.
Naturalmente la critica ufficiale all’epoca non apprezzò molto il film, giudicandolo incongruo nello svolgimento e cruento nel finale, per poi parzialmente ricredersi successivamente e riconoscendo a Barilli una regia ferma e raffinata, dotata di un gusto figurativo non comune. Il film risente in qualche modo anche dell’influenza del mondo movie, (sottogenere cinematografico sviluppato soprattutto in Italia che fonde documentario ed exploitation) con la presenza (seppur sullo sfondo) di un’esotica setta segreta capitanata da africani crudeli e infidi che sono riusciti ad introdursi nella società romana. Comunque se l’obiettivo di un film horror è quello di suscitare angoscia e paura, possibilmente con perizia e originalità, allora Il profumo della signora in nero ci riesce pienamente. Barilli, già attore (con Bertolucci) e sceneggiatore, si cimentò come regista nel cinema horror ancora con Pensione paura (1977), pellicola interessante ambientata durante la 2° Guerra Mondiale. Invece in veste di attore ha partecipato di recente a La casa nel vento dei morti, horror italiano del 2012. Purtroppo, nonostante ci fossero tutte le premesse per una carriera promettente in campo orrifico, Barilli, regista atipico, ha preso altre strade (come nel caso di Pupi Avati).
L’attrice americana Mimsy Farmer ha dato un valido contributo all’horror italico prima con Quattro mosche di velluto grigio di Dario Argento (1971), poi con Macchie solari (1975) altra pellicola ambientata in una Roma spettrale e allucinata con una protagonista fragile vittima di paurose visioni. Negli anni ’80 Mimsy Farmer interpreta lo slasher movie Camping del terrore (1987) un’imitazione italiana della saga cinematografica horror statunitense Venerdì 13 che porta la firma di Ruggero Deodato. Nella parte della fantasmatica bambina che perseguita Silvia troviamo Daniela Barnes che con il nome di Lara Wendel avrà in seguito una ‘fortunata’ carriera nei thriller-horror-sexy italiani nei panni della lolita perversa (Maladolescenza, Un’ombra nell’ombra, Tenebre, La casa 3…). Per finire il brillante Mario Scaccia ci fornisce un’efficace caratterizzazione nella parte del vicino di casa strambo e invadente.
Il film non va confuso con l’omonimo Le parfum de la dame en noir di Marcel L’Herbier del 1931.
Titolo: Il profumo della signora in nero
Anno: 1974
Regia: Francesco Barilli
Produzione: Italia – Euro International Films – Durata 105 min.
Sceneggiatura: Francesco Barilli, Massimo D’Avack
Fotografia: Mario Masini
Musica: Nicola Piovani
Interpreti: Mimsy Farmer, Nike Arrighi, Daniela Barnes, Maurizio Bonuglia, Orazio Orlando, Mario Scaccia, Jho Jhenkins
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