La fantascienza sovietica è nota in Occidente per pochi titoli, spesso di qualità artistica elevata, giunti però in edizioni pesantemente alterate da montaggi arbitrari mirati a nascondere eventuali messaggi politici o ideologici. Questa sorte è occorsa a Solaris di Andrej Arsen’evič Tarkovskij, mutilato di 40 minuti, e al più recente Per Aspera Ad Astra di Richard Viktorov, del 1981.
Basandosi su un romanzo di Kir Bulchyov, Richard Viktorov (1929-1983) realizzò una pellicola divisa in due parti, La donna umanoide e Gli angeli dello spazio, per due ore e mezza di proiezione. I due episodi, ben distinti per stile narrativo, per scelte recitative ed estetiche, sono poi stati assemblati in un solo film, noto come Per aspera ad astra, o Humanoid Woman. Lo stesso figlio del regista, Nikolai Viktorov, nel 2001 ha revisionato il nuovo montaggio e ha restaurato svariate sequenze, rinnovando anche alcuni effetti speciali un occasione del ventennale. La vicenda narrata è la stessa presentata dai due film originali: l’equipaggio dell’astronave Puskin si imbatte in un relitto alieno. A bordo ci sono tanti cloni e uno di essi è ancora vivo. Viene portato sulla Terra, ospitato dal capo della missione Sergei Lebedev (Uldis Lieldidz) e studiato dalla scienziata Nadezhda Ivanova (Nadezhda Semyontsova). L’aliena (la bellissima Yelena Metyolkina), chiamata Neeya, ha poteri telecinetici e può rendersi invisibile, tuttavia ignora il suo passato e ha dei sensori all’interno del cervello. Attraverso la stimolazione di questi circuiti è possibile condizionarne il comportamento. I terrestri scoprono così la natura artificiale della creatura, creata in provetta da una civiltà aliena per uno scopo ancora misterioso. Poco a poco Neeya si confronta con i terrestri, e il suo contatto accidentale con le acque del mare risveglia la consapevolezza del suo passato. Proviene da Dessa, ed è stata creata da Glen, uno scienziato che sognava di poter mutare il corso degli eventi con un esercito di cloni dai poteri sovrumani. Purtroppo Glen è stato tradito proprio dal suo più fedele compagno, e adesso Neeya è la sola superstite della progenie mutante. Quando una nave spaziale lascia la Terra diretta proprio su Dessa per aiutare la popolazione alle prese con una catastrofe ambientale, Neeya si imbarca clandestinamente. Scoperta, si unisce ai terrestri e partecipa alle operazioni di bonifica. Dietro alla devastazione del pianeta c’è un complotto ordito proprio da alcuni dei governanti…
Per aspera ad astra sorprende gli spettatori fin dalle prime sequenze; gli effetti speciali decisamente sotto tono sono minimizzati da un montaggio accorto, capace di creare senso di meraviglia e tensione grazie a inquadrature costruite con maestria. Nel buio del relitto dell’astronave lo spettatore può cogliere i corpi fluttuanti, immaginare pericoli nascosti nel vuoto e attendere l’improvvisa visione di qualcosa di macabro. Nello spazio profondo la lentezza è un pregio, perché crea il senso di aspettativa e dichiara allo stesso tempo la vena introspettiva della vicenda. Sulla Terra, il ritmo pacato permette di raccontare il mondo del domani, dove la guerra è solo un brutto ricordo e la tecnologia soleva l’uomo dai lavori più gravosi, e le astronavi convivono con architetture moderniste immerse in una natura incontaminata. La scoperta di sé da parte della protagonista è un processo graduale e la narrazione concede i giusti momenti alla maturazione, che avviene tramite flashback. Anche quando la protagonista è pronta a viaggiare tra le stelle alla volta del suo pianeta, permane uno stile narrativo basato sulla lentezza, sulla descrizione dei sentimenti e degli stati d’animo. Gli effetti speciali, anche nel restauro, restano sempre modesti e lasciano spazio a dialoghi ricchi di implicazioni filosofiche e politiche. Attraverso i grandi occhi di Neeya si parla di predestinazione e di libero arbitrio, di scelte compiute in piena consapevolezza e di costrizioni date dalla società o dai suoi leader, del fine ultimo del cammino della civiltà.
Lo sviluppo degli eventi è coerente con i presupposti: il viaggio di Neeya è soprattutto un percorso di maturazione interiore, una presa di consapevolezza del proprio retaggio, del cammino ancora da percorrere. Nel periodo trascorso sulla Terra Neeya recupera i propri ricordi; finalmente può tornare a Dessa e lottare contro l’alienazione della propria gente, costretta a vivere nel sottosuolo e a nascondere i volti sfigurati dalle mutazioni indotte dall’inquinamento. Il nemico è il capitalismo, incarnato da Turanchoks, un nano che devasta il pianeta e vende aria pulita e maschere antigas ai compatrioti. Il personaggio interpretato da Vladimir Anatolyevich Fyodorov (attore con un passato da fisico nucleare e oltre 50 invenzioni!) si rivela radicalmente diverso dai consueti avversari pronti a voler conquistare pianeti e galassie in nome di un potere astratto o di un’ideologia balzana. Il ‘cattivo’ è uno speculatore, e agisce senza alcun scrupolo pur di concedersi tutti i lussi a lui accessibili; fonda il suo potere sul rispetto ottenuto dal danaro e manipola le folle dei disperati.
Il regista dimostra di aver compreso la lezione del cinema di genere occidentale, e di averla rielaborata fondendola con il carattere intimista tipico della miglior fantascienza dell’Europa dell’Est. Se la prima parte del film sembra una rivisitazione futuribile dell’Enigma di Kaspar Hauser, o un’anticipazione del Quinto Elemento, la seconda parte ammicca visivamente alla serie di Star Trek e ad alcuni episodi del Doctor Who, con effetti speciali semplici ed efficaci, benché vistosamente artigianali. E’ ovvio come essi siano curati il tanto da offrire una scenografia convincente, e restino in secondo piano rispetto ai dialoghi e alle situazioni narrate.
La tragedia del pianeta Dessa ripropone i problemi sorti col nascere dell’URSS: l’utopia leninista, i limiti della realizzazione del socialismo reale… gli stessi protagonisti ricordano le grandi figure della storia sovietica del novecento. La pellicola è stata realizzata alla fine della Guerra Fredda e con il regime comunista ancora al potere, ed è impossibile, anche con i voluti tagli, eliminare del tutto l’ideologia che è alla base della narrazione. Nella versione restaurata l’eventuale celebrazione del socialismo reale viene smorzata e il film ripercorre instillando malgrado tutto qualche dubbio riguardo i miti creati dal regime e la qualità della vita quotidiana delle persone. L’avversario principale resta il capitalismo, e il condizionamento delle coscienze sottomesse. Anche l‘utopia egalitaria dello scienziato Glen ha in sé il germe della tirannia, e lascia immaginare un mondo comunque guidato da una elite di superuomini, pronti a rovesciare una situazione di palese ingiustizia con la violenza. La Russia alla fine salva il mondo e il modello di vita capitalista viene sconfitto, eppure non ci sono eroi angelicati e il lieto fine resta velato dalla malinconia. Nessuno pare salvarsi: la scienziata è pronta a fare esperimenti sulla mente dell’aliena; tra i governanti di Dessa ci sono coscienze tutt’altro che immacolate; la rivoluzione ha in sé il germe di una nuova tirannide, e lo stesso salvatore crea dei superuomini schiavi, un esercito di esseri innaturali incapaci di provare i sentimenti più istintivi e naturali. Neppure il bel cadetto attratto dall’aliena compie chissà quale impresa eroica. Difficile, per la povera Neeya, liberarsi del proprio retaggio di creatura artificiale e scoprire l’amore. Si sente straniera anche sul proprio pianeta, in quanto è biologicamente diversa dai Dessiani, che la temono e la emarginano per la sua origine. Non riesce a elaborare la complessità di sentimenti e di emozioni propria degli esseri umani e si sente sempre più inutile in quanto il pianeta verrà salvato dall’avanzata tecnologia dei terrestri. Le scelte politiche e culturali assennate possono liberare l’uomo dall’abbrutimento generato dall’asservimento economico, dalla fatica avvilente, eppure resta un senso di infinita solitudine che può essere sconfitto solamente dalla piena presa di coscienza del proprio animo. E’ proprio quanto resta da conquistare a Neeya, che sceglie di restare sul proprio pianeta sperando di mettere anche lei radici come gli alberi e i semi, nonostante il crescente affetto dimostratole dal cadetto. Il titolo Per aspera ad astra ben sottolinea quanto sia duro e doloroso il percorso per conquistarsi una coscienza, collettiva oppure individuale.
La pellicola vive del voluto incontro tra azione e lirismo, e sono proprio le parti introspettive e la grande forza poetica di alcune sequenze a dare valore alla vicenda e a donarle credibilità. Sarebbe difficile altrimenti accettare come una civiltà in grado di viaggiare nello spazio profondo sia incapace di salvare il proprio pianeta, o come la tecnologia possa ripulire intere aree nel volgere di poche ore. Occorrerebbero tempi e motivazioni degne di altre opere focalizzate sulla riflessione sull’ambiente e sull’urbanizzazione, sul prezzo del progresso. Dessa non è Dune, comunque il messaggio ecologista è insolito per un film sovietico: la propaganda voleva far credere in un futuro radioso, con l’umanità guidata da rappresentanti illuminati e un benessere condiviso. L’epilogo tace il destino del pianeta, come la popolazione si adatterà ad un ambiente tutto nuovo, e la sorte della protagonista viene lasciata all’immaginazione degli spettatori.
Il restauro snellisce la vicenda, sfronda i dialoghi con i riferimenti più espliciti alla politica sovietica, alcune parti elegiache decisamente troppo distanti dal gusto occidentale e forse elimina anche dettagli utili per comprendere meglio gli intrighi che hanno consentito l’affermarsi di Turanchoks, la creazione di Neeya e dei suoi simili, e per immaginare cosa accada dopo i titoli di coda. L’operazione voluta dal figlio del regista è comprensibile benché azzardata dal punto di vista storiografico.
Il nuovo montaggio dà vita ad una pellicola analoga nell’intreccio alla precedente, eppure diversa nelle possibili interpretazioni degli eventi. Suscita così interrogativi sul ruolo del restauro cinematografico: fino a che punto è lecito modernizzare un’opera che appartiene ad un’epoca e ad una cultura ben determinate? Se quasi tutti gli esperti convengono sull’opportunità del restauro conservativo, le opinioni su interventi radicali come quello subito da Per aspera ad astra si prestano a accesi dibattiti. Più che un restauro, la pellicola di Nikolai Viktorov è un remake, comunque interessante, soprattutto per quanti credono che la fantascienza non sia una facile evasione dalla realtà.
Per aspera ad astra è stato presentato in Italia al Trieste Science+Fiction dove ha vinto l’Asteroide d’Argento nel 1982.
Titolo: Per aspera ad astra – To the Stars by Hard Ways
Regia: Richard Viktorov, Nikolay Viktorov
Anno: 1981
Produzione: URSS – Maksim Gorki Studio, Trete Tvorcheskoe Obedinenie – Durata: 123 min. (versione restaurata)
Sceneggiatura: Kir Bulychyov, Richard Viktorov
Fotografia: Aleksandr Rybin, Sandor Berkesi (versione restaurata)
Musiche: Alexey Rybnikov
Interpreti: Yelena Metyolkina, Vadim Ledogorov, Uldis Lieldidz, Yelena Fadeyeva, Vladimir Anatolyevich Fyodorov
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