Il 15 Ottobre 2017 al Royal Opera House di Copenaghen andrà in scena in prima mondiale Momo and the Time-Thieves (Momo e i Ladri del Tempo). Si tratta addirittura di un’opera lirica ispirata al libro, musicata da Svitlana Azarova su libretto di Anna Bro.
Non è la prima trasposizione della delicata fiaba per adulti scritta da Michael Ende, autore tedesco noto per La Storia infinita e per la discutibile trasposizione cinematografica di Wolfgang Petersen. Ci sono state infatti due pellicole, la prima è un live-action, la seconda è il cartone animato italiano noto per la canzone ‘Aria’ di Gianna Nannini.
Ende è stato uno scrittore, sceneggiatore e critico tedesco, figlio di un pittore surrealista inviso al Nazismo. Ende disconobbe la versione cinematografica della Storia infinita perché i toni disimpegnati del blockbuster contrastavano il messaggio intimista trasmesso dalle pagine. Dopo le polemiche sorte e la causa (persa) per evitare che il proprio nome figurasse nei titoli, lo scrittore decise di occuparsi personalmente della realizzazione dei film ispirati alle sue opere. Per Momo, realizzato nel 1986, volle seguire in prima persona le riprese e collaborò con il regista Johannes Schaaf, tanto da apparire in un cameo della pellicola (è l’uomo sul treno nelle sequenze iniziali con John Huston). La mano dell’autore è stavolta fin troppo ben evidente, e il film segue le pagine con estrema puntualità, porgendo soluzioni visive estremamente rispettose del testo.
Momo è un’orfana di circa dieci anni fuggita da un istituto; si è rifugiata nelle rovine di un anfiteatro situato alla periferia di una imprecisata città europea. Viene ‘adottata’ dagli abitanti del quartiere, gente modesta e sincera negli affetti, capace di prendere la vita con umiltà apprezzando le piccole gioie quotidiane. Momo ha la rara capacità di ascoltare i problemi delle persone; con lei accanto i problemi trovano una soluzione e la fantasia si scatena. La vita della comunità viene però turbata dall’arrivo degli Uomini Grigi, sorta di manager dall’abito e dalla pelle grigiastra. Avvicinano la gente convincendola a risparmiare tempo, a produrre di più per realizzare mete sempre più grandi. Sembrano conoscere le debolezze di ciascuno, e sotto la malefica influenza della loro propaganda i sereni abitanti del quartiere si abbandonano alla frenesia del lavoro. Ossessionati dal dover produrre e consumare non hanno più tempo per riflettere sul senso della propria vita o momenti da trascorrere in compagnia delle persone vicine, per gratuita amicizia. Un signore Grigio prova a conquistare l’amicizia di Momo offrendole una sofisticata bambola, Bibigirl, una sorta di Barbie tecnologica. Momo è ingenua, tuttavia sembra sapere quali sono le cose veramente importanti, nella vita come nel gioco. Rifiuta il dono e mette alle strette l’Uomo Grigio, che confessa i piani dei suoi compagni. Ogni uomo vive momenti felici, che sono simboleggiati da fiori profumati, le Orefiori; gli uomini Grigi strappano alle vittime le Orefiori e se le fumano arrotolate in sigari. Momo cerca di convincere i suoi amici della realtà dei fatti, e non viene creduta. Solo con l’aiuto di Cassiopea, una tartaruga capace di vedere fino a mezz’ora nel futuro inviatola dal Custode del Tempo Mastro Hora, Momo riuscirà a sconfiggere gli Uomini Grigi e a riportare l’armonia tra i suoi vecchi amici.
Momo è un soggetto particolarmente ostico, a causa delle tematiche affrontate. Il romanzo parla del tempo, del suo valore nella società contemporanea; la riflessione sfiora concetti filosofici come potevano fare Agostino da Ippona o Seneca oppure i fisici contemporanei. Micheal Ende si è interessato soprattutto all’uso che l’uomo fa della propria esistenza, impiegata per produrre i beni necessari e per coltivare rapporti umani costruttivi, oppure sprecata per possedere oggetti e attraverso di essi, procurarsi un’effimera felicità. Al centro del romanzo c’è la rivolta contro la frenesia del mondo contemporaneo industriale che allontana l’umanità dalle gioie più autentiche e le sostituisce con beni da acquistare e sentimenti surrogati. Un bambino sensibile può leggere le avventure della piccola orfana e può appassionarsi alla battaglia pacifica, pur ignorando le leggi che muovono il mercato. Un adulto può riflettere sulle conseguenze della globalizzazione e del consumismo, oppure può godersi le speculazioni filosofiche e le allegorie tipiche della grande letteratura fantastica di critica sociale. Inutile invece sperare in qualche momento di azione, gradito agli adolescenti e a quanti sono abituati a fantasy più tradizionale: la vena intimista prevale e sovrasta gli eventi. Momo impone una scelta netta ai suoi lettori, analoga a quella richiesta da ‘Il piccolo Principe’, da ‘Cosa c’ è dietro le stelle?’. I romanzi obbligano alla riflessione sulla società e sui sentimenti, porgono le riflessioni filosofiche attraverso la poesia e lasciano poco spazio alla lettura disimpegnata.
La trasposizione cinematografica di Momo eredita ed amplifica le caratteristiche del testo, e purtroppo ne enfatizza anche il principale punto debole. Ovviamente è difficile trasporre le allegorie poetiche in immagini concrete, e quanto commuove sulla pagina può risultare artificioso e deludente quando si fa fotogramma. Ancora oggi, con i prodigi della grafica digitale a disposizione, la resa visiva dell’anfiteatro, dei giochi fantasiosi di Momo e dei suoi amici, della dimora del custode del tempo Mastro Hora, delle riunioni degli Uomini Grigi, della buffa tartaruga Cassiopea oppure dello sbocciare delle Orefiori imporrebbe scelte stilistiche nette. Minimalismo e astrazione oppure tripudio di immagini rococò, orgia tecnologica oppure tecniche di teatro di figura… E’ difficile stabilire quale stile sarebbe più adatto per raccontare la coraggiosa battaglia di Momo. Di certo il soggetto prevede situazioni sovrannaturali, ed è inevitabile portarle in scena in quanto esse sono parte integrante della vicenda al pari dei dialoghi filosofeggianti. Gli effetti speciali della pellicola del 1986 sono ovviamente tutti artigianali; il bravissimo Danilo Donati ha curato le scenografie e i costumi, donando alla pellicola il suo tocco inconfondibile. Gli ambienti sono stati ricostruiti in studio a Cinecittà, senza riprese in esterni, proprio come avveniva nelle trasmissioni televisive di spettacoli di prosa firmati da grandi nomi, all’inizio degli anni Settanta. Grazie ad esse molti spettatori sono venuti in contatto con autori altrimenti riservati a un’elite, eppure in quelle riprese mancava l’emozione del teatro ‘vero’, con i suoi tempi, gli applausi o i fischi, i piccoli intoppi, l’irripetibilità di ogni attimo. Qualcosa di analogo avviene nel microcosmo di Momo, esteticamente perfetto, raffinato eppure artificioso e datato. La vistosa finzione scenica ricorda la natura fiabesca della vicenda, e probabilmente era la migliore soluzione disponibile negli anni precedenti la diffusione della grafica digitale. Oggi il risultato può lasciare perplessi, sebbene le immagini conservino un vivo lirismo. Il fatto che in tanti anni l’unico tentativo di remake sia stato il cartoon del 2001 Momo alla conquista del tempo di Enzo D’Alò, dovrebbe testimoniare le difficoltà di rendere visivamente quanto sulla pagina è metafora poetica. Il regista nostrano si è rivolto esplicitamente ai più piccoli, adattando la trama e semplificando il lessico della battute, utilizzando un design semplice e bidimensionale per tutti i personaggi. Ha creato un delizioso cartone animato… vietato ai maggiori di dieci anni e agli appassionati di animazione nipponica, e con estrema onestà lo ha presentato come un prodotto per bambini.
Ben diverse erano le pretese della pellicola di Johannes Schaaf, nata per reazione a La Storia infinita: doveva rivolgersi ad un pubblico consapevole, offrire contenuti impegnati lontani dal fantasy d’evasione di Hollywood, magari ammiccare ad altri capolavori del passato, a Miracolo a Milano, a Pasolini, e coinvolgere i ragazzi facendoli riflettere. In effetti, il messaggio veicolato è di forte impegno civile, gli stereotipi fiabeschi vengono usati e destrutturati, e ci sono bei paralleli tra Momo e Totò il buono, Cassiopea e la magica colomba, la periferia e il villaggio di baracche nella nebbiosa periferia milanese. Le buone intenzioni si sono realizzate in parte, anche a causa di una sceneggiatura discontinua che fatica a trovare la giusta omogeneità e il linguaggio adatto agli interlocutori.
Il primo tempo appare decisamente sotto tono, gravato da ritmi troppo lenti che annoiano i giovanissimi senza coinvolgere per davvero gli adulti. La protagonista Radost Bokel potrebbe essere la beniamina dei piccoli spettatori, se le sue avventure fossero davvero alla portata di bambino, e la narrazione avesse la struttura di una serie di mini episodi collegati tra loro. Invece l’intreccio richiede tempi di attenzione estesi e la capacità di astrarre, mentre il personaggio di Momo è solo esteriormente infantile. Le sue origini e la sua capacità di entrare in sintonia con l’Universo restano un mistero, le battute sagge la rendono diversa da qualsiasi bambino si possa incontrare: è difficile, per un giovane spettatore, identificarsi in questa creatura. Radost Bockel come attrice ha la giusta presenza scenica fino a quando usa la sua espressività corporea ma quando deve recitare, complice un doppiaggio non sempre all’altezza, convince assai meno . Che fosse più bella che brava, lo dimostrerebbe il suo percorso artistico: ha posato per le copertine di giornali per uomini ed è stata richiesta per qualche comparsata in sceneggiati e telefilm, senza mai raggiungere ruoli di spicco. Neppure i comprimari sono stelle di prima grandezza, oppure sex-symbol di facile richiamo. Si tratta invece di validi caratteristi venuti dal teatro o dal cinema d’autore: Beppo lo spazzino (Leopoldo Trieste), Gigi il cantastorie (Bruno Stori), il muratore Nicola (Mario Adorf) e il barista Nino (Ninetto Davoli), il barbiere signor Fusi (Francesco De Rosa). Le loro interpretazioni sono apprezzabili e sorreggono la pellicola, tuttavia gli episodi a loro affidati ne rallentano irrimediabilmente il ritmo. Gli spettatori abituati al cinema d’autore si godono i richiami dotti e la bella colonna sonora appositamente creata da Angelo Branduardi, tutti gli altri rischiano di annoiarsi e attendono l’inizio dello scontro tra Momo e gli Uomini Grigi. I villain hanno copioni piuttosto brevi, anche essi affidati a attori di solida carriera, come il candidato al Premio Oscar Armin Mueller-Stahl (il Capo degli Uomini Grigi) e l’altrettanto bravo Sylvester Groth (l’Agente BLW-553C).
Gran parte dell’azione avviene nel corso del secondo tempo, che scorre con maggiore vivacità pur conservando l’impronta di stampo teatrale. Compare la buffa tartaruga Cassiopea, sul cui dorso viene scritto il prossimo avvenire, entra in scena Mastro Hora, interpretato dal mostro sacro John Houston. E’ questa la parte riuscita meglio del film, vuoi per il fascino di Houston, vuoi per le surreali scenografie della Casa del Tempo e delle Orefiori.
La resa dei conti viene sbrigata rapidamente ed il lieto fine che segue è prevedibile quanto elegiaco.
Momo è una pellicola lontana dagli stereotipi del cinema per famiglie, incapace di inserirsi nelle correnti della moda dei film per giovani, distante dal realismo tipico cinema di impegno sociale, e dotata di un’estetica visionaria. Chissà se l’immaginario visivo espresso dalla pellicola tedesca potrà influenzare la versione operistica.
Titolo: Momo
Regia: Johannes Schaaf
Anno: 1986
Produzione: Germania, Italia – Durata 101 min.
Sceneggiatura: Marcello Coscia, Rosemarie Fendel, Johannes Schaaf
Fotografia: Xaver Schwarzenberger
Musiche: Angelo Branduardi
Effetti speciali: Danilo Donati
Interpreti: Radost Bokel, Mario Adorf, Armin Mueller-Stahl, Leopoldo Trieste, Ninetto Davoli, Bruno Stori, Elida Melli, Sylvester Groth, Francesco De Rosa, Concetta Russina, John Huston
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