The Invaders era originariamente un telefilm americano, andato in onda alla fine degli anni Sessanta (1967-1968) e giunto sulle emittenti private italiane nei primi anni Ottanta con il titolo Gli invasori. Le due stagioni narrano le peripezie del giovane architetto David Vincent (Roy Thinnes), coinvolto in un’invasione aliena. David assiste per caso all’atterraggio di un disco volante: durante un lungo viaggio smarrisce la strada e si ritrova in una campagna solitaria. Ferma la sua auto per riposare e proprio allora dal cielo cala un UFO. Gli alieni scendono dal velivolo, assumono sembianze umane e si mescolano agli ignari terrestri. David cerca di avvertire le autorità e viene preso per pazzo. E’ difficile riconoscere un alieno, a meno di sottoporlo a esami medici. Gli invasori sono privi di battito cardiaco e di sangue, hanno un dito malformato e quando muoiono i loro corpi avvampano in una luce rossa, per svanire.
La serie TV ha fatto proprie le paure della Guerra Fredda, e le ha rielaborate alla luce dei grandi classici della fantascienza dei decenni precedenti, a partire da L’Invasione degli ultracorpi. Gli effetti speciali si limitavano a poche trovate, e la tensione veniva mantenuta alta grazie al clima di cospirazione costruito nel corso degli episodi: chiunque poteva essere un extraterrestre.
The Invaders è durata appena due stagioni, nonostante l’approccio decisamente innovativo, o forse a causa di esso. Le disavventure di David Vincent, inerme davanti ad un nemico ormai infiltrato ad ogni livello della società americana mettevano in crisi le sicurezza dello yankee medio, abituato ad eroi invincibili pronti a farsi giustizia ed essere acclamati. Il protagonista inoltre attraversava la provincia americana rurale, e spesso si scontrava con la mentalità chiusa delle piccole comunità: un ritratto degli Stati Uniti lontano dall’immagine che la Nazione voleva esibire al mondo intero, dal mito del progresso di un popolo pronto a conquistare la Luna e forse la galassia.
Nonostante manchi di un epilogo ben definito, il serial è diventato un cult e ha fatto scuola. Quando nel 1993 la Fox mandò in onda con grande successo la prima stagione di X-Files, Hollywood pensò di riesumare The Invaders, proponendo una vicenda analoga, di ambientazione contemporanea. Nacque così The Invaders – Gli Invasori sono tra noi (1995), film televisivo in due puntate diretto da Paul Shapiro. Nel ruolo del protagonista Nolan Wood fu chiamato Scott Bakula, divenuto assai popolare per aver interpretato le cinque stagioni di In viaggio nel tempo (Quantum Leap). e in seguito Star Trek: Enterprise. Roy Thinnes tornò nei panni di David Vincent per una breve parte, poco più di un cameo, inserito per dare continuità con il passato.
Trent’anni dopo la scoperta di David Vincent gli alieni si sono diffusi ovunque, e hanno compiuto esperimenti sul cervello dei terrestri, per condizionarli a distruggere il loro stesso pianeta. A opera compiuta gli invasori prenderanno possesso della Terra, ormai inabitabile per gli esseri umani. Nolan Wood è un ex pilota; manipolato dalla tecnologia aliena, ha ucciso un attivista ambientalista senza apparente motivazione. Evaso dopo otto anni di carcere, tenta invano di ricongiungersi alla moglie e al figlio; la donna ha però trovato un nuovo ambiguo compagno, e si è ricostruita una vita in un paesino non lontano da Las Vegas, dove gestisce un diner. Braccato dalla polizia, nella prima puntata Nolan farà luce sul proprio passato, con l’aiuto della dottoressa Ellen Garza (Elizabeth Peña) e di David Vincent, che gli affiderà le sue memorie. Nella seconda puntata Nolan tenterà di sventare un attentato alieno, per poi fuggire insieme alla dottoressa e al figlio.
Nelle intenzioni degli autori la mini serie doveva dare il via a nuove stagioni, mai realizzate. Le ragioni del fallimento del progetto sono molteplici, alcune prevedibili e altre meno scontate.
Innanzitutto il protagonista manca del carisma di David Vincent. L’architetto aveva le carte in regola per essere un Americano di successo, invidiato dagli uomini e ammirato dalle donne. Era bello, di una bellezza esplicita e mai volgare. Niente a che vedere insomma con Scott Bakula che ciondola intontito da una sequenza all’altra, con la canottiera stazzonata e l’aria da macho di provincia. David Vincent aveva cultura ed un lavoro di successo, e probabilmente anche soldi, in quanto le rette universitarie negli Stati Uniti equivalgono a un anno di paga di un cittadino medio. Era un perfetto wasp (White Anglo-Saxon Protestant ), a differenza del povero Nolan, ex pilota ritenuto folle, assassino. L’emarginazione di Vincent è dovuta alle sue idee, quella di Nolan alle sue azioni. Sebbene abbia agito sotto la suggestione aliena il personaggio sembra un soggetto inaffidabile e l’empatia stenta a decollare. Tra l’altro gli spettatori apprendono la verità sul suo conto a vicenda ben inoltrata, ed è tardi per affezionarsi del tutto a questo antieroe. La moglie di Nolan è stata sedotta e messa incinta da un alieno, il figlio non ama il nuovo genitore: il dramma familiare dona profondità alle sofferenze del protagonista tuttavia stona con il tono delle vecchie avventure. Di Vincent si ignoravano i vincoli di parentela, e l’amore era un sentimento inaccessibile a causa della precarietà della sua esistenza. E a proposito del vecchio protagonista, i fan si attendevano di vederlo tornare in azione, magari per accompagnare Nolan come un mentore. Invece tutto si risolve in un paio di momenti, inseriti come passaggio del testimone, ed è un vero peccato perché Thinnes è un’icona, e il duo formato da un giovane ed un anziano poteva essere davvero innovativo.
Quanto agli avversari, un’altra delusione attende gli spettatori che avevano conosciuto i ‘primi’ invasori. Stavolta utilizzano cabine trasparenti nascoste in un capannone industriale nel bel mezzo del deserto per prendere possesso dei corpi di umani manipolati e ormai inservibili, invece di crearsi degli alter ego nuovi. La necessità di rigenerarsi periodicamente all’interno di cilindri trasparenti viene a scomparire, e le sagome dei corpi illuminati da una luce rossa al momento del trapasso vengono rimpiazzate da un’accecante luce bianca, che lascia a terra un nugolo di mosche. Le armi e la tecnologia extraterrestre sono diverse da quelle note; le tante differenze potrebbero sembrare dettagli di secondaria importanza, e invece non lo sono. La serie partiva da un immaginario noto, rimasto nel cuore degli appassionati, quindi per funzionare doveva recuperare quanto più possibile l’estetica e i temi delle due stagioni. Distaccarsene solo in parte si è rivelato fallimentare perché la serie doveva contare sull’ascolto dei vecchi fan, e questi si sono sentiti traditi nelle aspettative. Sarebbe stato preferibile riproporre le vecchie trovate e i personaggi amati dal pubblico, oppure creare ex novo sia il protagonista, sia gli avversari.
L’errore più imperdonabile è senza dubbio l’aver spiegato nel corso di due puntate i dettagli relativi ai piani degli alieni, invece di tacerli o rivelarli lentamente, magari nel corso delle stagioni future. Il mistero avrebbe accresciuto la paura, ingrediente indispensabile per una vicenda basata sulla cospirazione; invece lo spettatore sa troppo presto cosa attendersi dal nemico. Gli alieni si mostrano tutti invariabilmente pericolosi e non ci sono personaggi contrari alle intenzioni bellicose dei loro comandanti, magari pronti a ribellarsi e allearsi con gli esseri umani. L’unica sorpresa è riposta in un personaggio che inizialmente sembra un uomo premuroso, e invece dissimula la peggiore delle nature.
Quanto alla vicenda in sé, si basa su situazioni ormai ampiamente esplorate dal cinema di genere, riproposte con il linguaggio dimesso delle produzioni televisive. Se X-Files fa sfoggio di una fotografia algida e di inquadrature inconsuete, e di un’indimenticabile colonna sonora, The Invaders – Gli invasori sono tra noi presenta sequenze degne di un poliziesco anni Ottanta, accompagnate da un commento musicale dimenticabile.
La vicenda si avvia con un ritmo lento, per poi aumentare in un crescendo fino al finale. La narrazione appare discontinua, e momenti di concitata azione si alternano a pause riflessive. Esse introducono momenti necessari per definire il carattere dei personaggi. Sono proprio quelle parti più malinconiche a dare sapore ad una vicenda altrimenti prevedibile.
Le pecche della miniserie sono per larga misura imputabili alle scelte discutibili degli sceneggiatori, e non dipendono dai mezzi limitati di un film televisivo, o dagli effetti speciali. Essi erano comprensibilmente minimali nella serie originale, e appaiono ancora più approssimativi nel sequel. Non sarebbe un gran male, in fondo The invaders aveva giocato sulla paranoia, sul rendere gli alieni una perfetta mimesi dei terrestri. Con l’eccezione dei dischi volanti dalla caratteristica forma di cappello da pescatore, dei cilindri capaci di uccidere o rianimare grazie all’energia che riversavano su quanti vi fossero rinchiusi, e della luce rossa che trasformava i cadaveri in cenere, c’era ben poco da vedere, e molto da immaginare. Dato il soggetto si potrebbe perdonare la rozzezza dei trucchi, se fossero introdotti con misura, senza indulgere in goffe rappresentazioni esplicite. Gli eventi sovrannaturali sono narrati con candore, mentre gli inseguimenti e le sparatorie vengono risolte con poca creatività. Il montaggio è stato già visto in decine di episodi di Magnum P.I., o Riptide, le inquadrature regalano poche sorprese. Nonostante i difetti palesi, ci sono comunque delle buone trovate.
Accade di rado che in un film di fantascienza i ruoli femminili siano più interessanti di quelli maschili; è quanto accade in questa pellicola. Scott Bakula vaga intontito per oltre metà pellicola e rende bene l’idea di un uomo tormentato da visioni profetiche e da un passato che sente estraneo. Braccato dalla polizia e dagli alieni, è una vittima più che un eroe, ed appare ancora più indifeso di David Vincent. I veri ‘duri’ stavolta sono le donne: prendono l’iniziativa, sono pronte a non arrendersi agli eventi, salvano la pelle a Nolan senza trasformarsi in stucchevoli infermiere.
Elizabeth Peña appare convincente nel ruolo di una dottoressa che rinuncia alla tranquillità del suo lavoro quando il suo collega e compagno viene ucciso poiché ha visto troppo. L’ex moglie di Nolan sembra una ragazzotta di provincia procace d’aspetto e concreta nelle sue aspirazioni, salvo poi rendersi conto del pericolo e sfoderare tutto il suo coraggio in un gesto estremo.
In un film destinato agli adolescenti e agli adulti, l’ennesimo marmocchio piagnucoloso, o il saputello che risolve le situazioni più disparate in anticipo sugli adulti sarebbe stato stonato. Il figlio di Nolan è anche lui una giovane vittima, verosimile nel suo malcelato rancore verso il nuovo compagno della madre, trascurato dai genitori che gestiscono il bar per camionisti e viaggiatori, smarrito in un mondo che gli offre pochi stimoli e nessun compagno di giochi.
Anche se l’ambientazione oggi appare sfruttata, a suo tempo doveva sembrare meno consueta, almeno per il pubblico mondiale. I fatti si svolgono nel Nevada, tra strade polverose e deserto sconfinato percorso da gente che si illude di cambiare la propria vita insoddisfacente con una vincita ai casinò, e da immigranti illegali. Da notare come la parola ‘alien’ indichi sia le creature extraterrestri, sia gli stranieri. La discriminazione verso i latini che ogni notte salgono su camion scassati per raggiungere la terra promessa e l’atteggiamento degli Americani verso quei disperati preannunciano la politica attuale di Trump. Né la vita deve essere esaltante per quanti abitano i piccoli paesi, manciate di case e di diner cresciuti lungo la via che porta a Las Vegas. Come nella vecchia serie, viene mostrata la faccia triste dell’America, quella lontana dagli sfavillanti grattacieli, visitata solo da gente che sopravvive ai margini del mondo o da immigranti mal sopportati. Lo sfondo è assai meno solare rispetto a quello mostrato nel telefilm del 1967, con le piccole cittadine della provincia rurale, anonime e apparentemente tranquille nonostante il ’68 sia alle porte.
La visione è pessimista: le disavventure di David Vincent preludono la rivoluzione destinata a mutare i costumi di una buona parte del mondo, quelle di Nolan mostrano i fallimenti degli ideali. Inoltre l’architetto appare come uno spostato, talvolta subisce pestaggi da parte della polizia, tuttavia resta nei limiti della legalità e mantiene il controllo della propria mente. Nolan è stato meno fortunato, combatte contro un nemico che pare invincibile e che lo ha minato, strappandogli ogni persona cara e trasformandolo in un assassino.
Di questo film esistono due versioni, una più lunga per la televisione ed una di 147 minuti, montata per l’home video. Quella cinematografica gode di un montaggio più serrato, ne guadagna il ritmo narrativo ma alcuni dettagli utili per creare la giusta atmosfera vengono sminuiti. La miniserie accusa i limiti delle produzioni nate per la tv in modo più evidente, tuttavia la lentezza è utile per dare una parvenza di credibilità al carattere dei personaggi.
Si arriva ai titoli di coda forse delusi, perché ci si attendeva un reboot in grande stile. Non siamo certo all’altezza di quel gioiellino che è la serie originale, comunque la miniserie ha alcuni spunti validi e si lascia vedere, a patto di non fare confronti con un passato troppo ingombrante.
Titolo originale: The Invaders
Anno: 1995
Regia: Paul Shapiro
Cast: Scott Bakula, Elizabeth Peña, Roy Thinnes, Richard Thomas, DeLane Matthews, Terence Knox, Shannon Kenny, Raoul Trujillo, Richard Belzer, Mario Yedidia
Trailer