Los Angeles,1969. Rick Dalton è un attore in declino, famoso soprattutto per essere stato protagonista nella serie televisiva Bounty Law, dove interpreta il cacciatore di taglie Jake Cahill. In cerca di una possibilità di rilanciare la sua carriera in una Hollywood che sta cambiando, il tormentato Dalton è assistito dal fido amico e tuttofare Cliff Booth che sullo schermo è anche la sua controfigura. Tra le colline, a Cielo Drive, Dalton ha una bella villa con piscina, con dei vicini di casa che rappresentano la nuova Hollywood che avanza, come il brillante regista Roman Polanski sposato con la giovane attrice in ascesa Sharon Tate. Ma sullo sfondo apparentemente dorato di questo mondo, si staglia minacciosa la figura di Charles Manson e della sua setta di fanatici hippies…
Dai tempi di Pulp Fiction, Quentin Tarantino è diventato un regista che può permettersi qualsiasi cosa, senza dover rendere conto a nessuno, sapendo di essere l’unico depositario o meglio il gran sacerdote di un certo tipo di cinema per cui nutre un amore viscerale e senza compromessi. Forse solo David Lynch, anche se su un altro piano, gode di tanta libertà. E’ Tarantino il riscopritore dei B movies, dell’epica pulp dai risvolti grotteschi e fantastici, dell’exploitation più scatenata e irriverente, dei generi cinematografici più negletti dalla critica ufficiale come lo ‘spaghetti western’ o il cinema di arti marziali. Ma è con le ultime pellicole, a partire soprattutto da Bastardi senza gloria, che Tarantino ha deciso di riscrivere la storia (anche quella con la “S” maiuscola) nel modo che ritiene più giusto, tramite il potente mezzo del cinema. Un cinema che possiamo definire “fantastico ucronico”, in grado di cambiare gli eventi (storici o di cronaca) secondo la visione epica ed estetica che Tarantino ha del mondo. Così, dopo la vendetta degli schiavi neri contro i padroni schiavisti (Django Unchained) e la rivincita degli Ebrei contro gli sterminatori nazisti (Bastardi senza gloria), Tarantino, con il suo nono film, C’era una volta a… Hollywood, decide di ‘correggere’ i tragici fatti di cronaca nera che hanno funestato Los Angeles/Hollywood nel lontano 1969: gli efferati omicidi dell’attrice Sharon Tate e dei suoi amici ad opera della “Famiglia Manson”. Ma non l’ho fa in maniera scontata e infatti all’inizio non capiamo dove il regista voglia andare a parare: prevalgono i toni da commedia e tiene banco la magistrale ricostruzione, tra ambientazioni dal sapore nostalgico di un mondo appartenente ormai a un passato favoloso. In che modo il buon Quentin, nel suo sfrenato citazionismo cinefilo (per alcuni eccessivo e fine a se stesso) intende trattare questo terribile fatto di cronaca che in qualche modo ha rappresentato il lato oscuro e la pietra tombale della gioiosa rivoluzione della controcultura hippie e dei ‘figli dei fiori’?
E’ presto detto, il regista che non ha avuto problemi a cambiare l’esito della seconda guerra mondiale (con la totale eliminazione, da parte della resistenza ebrea, di tutti i gerarchi nazisti compreso Hitler), non esiterà a mettere sul cammino degli spietati accoliti di Charles Manson, due personaggi inventati ma plausibili, che fanno parte del mondo di quel cinema “B”, tanto amato da Tarantino: l’attore in cerca di rilancio Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) e lo stuntman Cliff Booth (Brad Pitt). Per una serie di circostanze fortuite Dalton è il vicino di casa di Sharon Tate e Roman Polanski, mentre l’amico Booth vive solitario in una roulotte in compagnia di un feroce ma simpatico pitbull. Ma mentre l’insicuro Dalton si dà alla bottiglia spesso e volentieri (come molti altri attori del resto), Booth è un vero duro, reduce di guerra pluridecorato, sospettato addirittura nell’ambiente del cinema di aver ucciso la moglie. Lo stuntman (interpretato da uno strepitoso Brad Pitt), a causa del suo carattere rissoso e delle sinistre dicerie che girano sul suo conto, fa fatica a essere ingaggiato sui set cinematografici, ma rimane fedele all’amico in crisi (sperando in una buona parola per lavorare) e all’occorrenza gli fa da guardia del corpo, autista, segretario, antennista, etc…
Tarantino, in quasi tre ore di film, si dilunga parecchio in un omaggio nostalgico e affettuoso dedicato al mondo del cinema (e della TV) degli anni ’60 in California e la decadenza dell’attore Rick Dalton, passato in pochi anni da divo di serie televisive western di successo a semi alcolizzato, è raccontata con toni agrodolci. Siamo in piena era hippie, tra attraenti ragazze scalze e feste hollywoodiane piene di celebrità; celebrità viste dal regista con occhio benevolo (come nel caso della bella e innocente Sharon Tate interpretata quasi con ‘tenerezza’ da Margot Robbie) o al massimo con bonaria irriverenza (vedi la scena di Bruce Lee). Comunque sia, il sognatore Tarantino non permetterà al fanatico Manson e ai suoi seguaci di rovinare questo quadro quasi idilliaco. Prima del gran finale, un po’ di suspence e azione la ritroviamo solo nelle scene di Cliff Booth, come la visita al ranch della setta di Manson o la sfida con Bruce Lee. Nonostante una certa ridondanza tra rimandi, citazioni e flashback, non ci si annoia mai, anzi si capisce che l’elaborata narrazione tarantiniana è stata totalmente costruita in funzione del finale alternativo (rispetto alla vicenda reale) super pulp, pieno di violenza liberatoria, quasi splatter, esercitata contro gli odiosi componenti della “Manson Family”. Se nel mondo reale i membri della Famiglia hanno avuto gioco facile nell’uccidere barbaramente Sharon Tate e i suoi amici (il marito Roman Polanski casualmente si trovava all’estero), nel mondo di Tarantino dovranno vedersela prima con il coriaceo Booth, il suo fido pitbull e l’attore in cerca di riscatto Dalton, che a un certo punto tirerà fuori anche il suo lanciafiamme di ‘scena’ per aiutare l’amico. E noi spettatori alla fine usciamo dalla sala con la sensazione che magari le cose sono andate diversamente (cioè meglio) in qualche universo parallelo. Questo è uno dei poteri del cinema (tarantiniano).
Personaggi reali e immaginari in C’era una volta a… Hollywood
Uno degli aspetti più suggestivi del film di Tarantino, è l’accurata ricostruzione, quasi maniacale, della Hollywood del 1969 e dei fatti di cronaca riguardanti gli omicidi della famigerata Famiglia Manson. Mescolando abilmente realtà e finzione, il regista costruisce un canovaccio complesso e affascinante, di cui è interessante sapere quali personaggi, situazioni e luoghi sono immaginari e quali invece sono reali.
I due protagonisti, l’attore Rick Dalton/Leonardo DiCaprio e lo stuntman Cliff Booth/Brad Pitt, sono personaggi di fantasia ma sembrano ispirati ad alcune figure reali del mondo hollywoodiano. Secondo lo stesso Tarantino, la figura di Rick Dalton trae ispirazione da più attori di genere western degli anni ’50/’60 come ad esempio Ty Hardin. Come lo stesso Hardin, il personaggio interpretato da DiCaprio nel film, a un certo punto, per rilanciare la sua carriera, va in Italia a lavorare nei ‘western spaghetti’ di Sergio Corbucci, uno dei maestri indiscussi del genere. Ma ci sono delle similarità anche con la carriera del grande Clint Eastwood, che dopo aver interpretato la serie TV Gli uomini della prateria, ottenne la vera consacrazione internazionale in Italia con i film western di Sergio Leone.
Il personaggio di Cliff Booth è ispirato allo stuntman Hal Needham, controfigura e grande amico dell’attore Burt Reynolds. Needham ha ricevuto numerosi premi ed onorificenze per la sua carriera di stuntman senza paura.
Una delle scene più divertenti ma anche più discusse di C’era una volta a… Hollywood è quella dello scontro tra Bruce Lee e Cliff Booth, che ha suscitato persino le rimostranze della moglie e della figlia del divo del Kung Fu; infatti nella sequenza in questione vediamo il “Piccolo Drago”, rappresentato come un individuo piuttosto presuntuoso, uscire un po’ ‘strapazzato’ dal confronto con lo stuntman. Tarantino si è giustificato dicendo che lui ha voluto rappresentare un ‘Bruce Lee’ del tutto immaginario da contrapporre a un ex soldato, personaggio altrettanto immaginario, che invece in guerra aveva dovuto combattere e uccidere veramente. Ma c’è qualcosa di vero in questa scena? Innanzitutto è doveroso precisare che in quegli anni Bruce Lee, prima della celebrità conquistata grazie ai film girati successivamente a Hong Kong, frequentava gli ambienti del cinema hollywoodiano in cerca di successo negli USA, sia come attore (vedi la serie TV Green Hornet) che come maestro di arti marziali, facendo da istruttore e personal trainer a numerose star tra cui Steve McQueen, James Coburn e Roman Polanski. La stessa Sharon Tate era stata istruita da Bruce Lee per le coreografie dei combattimenti presenti nel film Missione compiuta stop. Bacioni Matt Helm (The Wrecking Crew), immancabilmente omaggiato da Tarantino in C’era una volta a… Hollywood. Incredibilmente pare che, per un certo periodo, Polanski avesse sospettato Bruce Lee per l’omicidio della moglie, visto che il sifu delle star era un frequentatore della casa di Cielo Drive e aveva dimestichezza con le armi da taglio.
Tornando alla scena del combattimento tra Booth e Bruce Lee (interpretato da Mike Moh in modo piuttosto caricaturale) va precisato che fuori dalle scene, il metodo di combattimento del vero Bruce Lee non contemplava urla o calci volanti. Sembrerebbe però che sul set della serie Green Hornet sia avvenuto realmente un piccolo ‘confronto’ con uno stuntman, ovvero il judoka di livello mondiale e attore Gene LeBell che ha lavorato con Bruce Lee nelle scene d’azione. Secondo Eugene S. Robinson, il co-autore dell’autobiografia di Gene LeBell “The Godfather of Grappling“, Bruce Lee, durante le riprese, aveva esagerato nel colpire troppo forte con i calci le altre comparse. Allora dovette intervenire LeBell, richiamato dal coordinatore degli stunt, per convincere Lee ad andarci piano con i colpi. LeBell bloccò Bruce Lee con una presa di lotta, sollevandolo sulla schiena e portandolo in giro per il set finché non si fosse calmato. Sorpreso e infuriato, Lee non volle o poté reagire. Ma una volta sbollita la rabbia per la ‘lezione’ ricevuta, Bruce Lee in seguito collaborò amichevolmente con Gene LeBell e inserì nel suo metodo di combattimento Jeet Kune Do varie tecniche di lotta apprese dal judoka americano. Probabilmente Tarantino, venuto a conoscenza di questo episodio, ha voluto trasporlo a modo suo nel film, mettendo in evidenza una certa arroganza insita nella figura di Bruce Lee come ‘mostro sacro’ delle arti marziali.
Anche i membri della Famiglia Manson che appaiono nel film sono fedelmente tratti dalla realtà, a cominciare da Charles Manson che vediamo fare un sopralluogo esplorativo a Cielo Drive, prima della missione omicida dei suoi adepti. Manson è interpretato da Damon Harriman che ha rivestito lo stesso ruolo anche nella serie TV Netflix sui serial killer MindHunter 2. Abbiamo anche Lynette ‘Squeaky’ Fromme (Dakota Fanning) fedelissima di Manson che, pur non partecipando di persona agli omicidi, rimase vicina al suo mentore durante il lungo processo. Nel film ci sono tutti gli esecutori materiali degli omicidi a partire da Charles Denton “Tex” Watson (Austin Butler) che ha guidato, armato di pistola, il commando di fanatiche hippies munite di coltelli, composto da Patricia Dianne Krenwinkel (Madisen Beaty), Leslie Louise Van Houten (Victoria Pedretti), Linda Kasabian (Maya Hawke) e la perversa e spietata Susan “Sexy Sadie” Atkins (Mikey Madison), l’unica deceduta finora del gruppetto di killer (a parte Manson scomparso nel 2017). Inventato è invece il personaggio della sexy hippie Pussycat impersonato dalla carinissima Margaret Qualley.
Realmente esistito è il vecchio George Spahn (Bruce Dern) proprietario dello Spahn Ranch, che l’uomo concesse come base logistica alla Famiglia tra il 1968 e il 1969, in cambio di favori sessuali. Lo Spahn Ranch, fu utilizzato sin dagli anni ’20 come set per film e serie tv western (Bonanza). Essendo stato danneggiato da un incendio e non più in uso, le scene per il film sono state girate in realtà nei pressi di Corriganville Park nella Simi Valley.
Per brevità ci fermiamo qui, ma potremmo continuare a lungo con altri personaggi reali di quegli anni come produttori, registi, attori, artisti, stuntmen, parrucchieri e così via… che Tarantino ha utilizzato per comporre il suo grandioso affresco di una Hollywood che non c’è più.
Titolo Originale: Once Upon a Time in… Hollywood
Regia: Quentin Tarantino
Cast: Leonardo DiCaprio, Brad Pitt, Margot Robbie, Dakota Fanning, Mike Moh, Margaret Qualley, Bruce Dern
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Trailer