Blade Runner 2049

Incredibile ma vero. Trentacinque anni dopo Blade Runner, pellicola cult epocale per la fantascienza cinematografica, arriva l’atteso e temuto seguito, Blade Runner 2049 di Denis Villeneuve che ancora una volta ha dimostrato di non sbagliare un colpo come regista, probabilmente realizzando il miglior sequel di sempre di un grande film di fantascienza.

 

Per anni si è parlato di un possibile sequel di Blade Runner (1982), film dalla lavorazione travagliata e costosa, destinato poi a diventare un cult movie inarrivabile per innovazione, stile ed atmosfere. Aveva senso cercare di dare un seguito a quel riuscitissimo mix di noir, hard boiled e fantascienza futuristica distopica che veniva direttamente dal romanzo ispiratore di Philip K. Dick “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”. I timori erano fondati, visti i precedenti negativi di tanti sequel non all’altezza, a cui si era aggiunto un certo declino creativo di Ridley Scott (almeno dai tempi de Le Crociate) che aveva appena fallito nel tentativo di rivitalizzare la saga di Alien con Alien Covenant. Ma questa volta il regista canadese Denis Villeneuve con brillante disinvoltura centra il bersaglio, realizzando un ottimo film, al tempo stesso rispettoso e innovativo rispetto all’originale. Naturalmente per apprezzare pienamente Blade Runner 2049, è consigliabile rivedersi il primo capitolo. Chi volesse conoscere il destino del cacciatore di androidi Deckard e dell’affascinante replicante Rachael, in fuga dalla tetra Los Angeles del futuro, sarà accontentato, ma non aspettatevi una prosecuzione del lieto fine visto nel finale del film del 1982, voluto all’epoca dai produttori contro la volontà di Scott. Villeneuve non dimostra timori reverenziali verso il classico di Scott (che questa volta opera in veste di produttore) e non esita ad ampliare gli scenari post-apocalittici visti in Blade Runner e a sviluppare verso una direzione imprevedibile i rapporti tra uomini e androidi: nell’anno 2049 in cui si svolge il film, vediamo una proiezione delle nostre paure attuali (una preoccupante evoluzione di quelle degli anni ’80) che possiamo già intravedere anticipate in certe mostruose megalopoli del Terzo Mondo e dell’Estremo Oriente soffocate da atmosfere irrespirabili, montagne di rifiuti e sfruttamento minorile. Tra tecnologie avveniristiche e miseria materiale si muove con apparente disinvoltura l’agente K, un nuovo modello di replicante che deve dare la caccia agli androidi Nexus di vecchia generazione, ritenuti ancora propensi alla ribellione verso i creatori umani. Infatti come veniamo a sapere nel corso del film, un gruppo di replicanti ribelli Nexus provocò anni prima un catastrofico black-out tecnologico su scala globale che ha portato il mondo sull’orlo dell’estinzione. Soltanto l’intervento della potente Wallace Corporation con i suoi brevetti di bioingegneria ha permesso alla Terra di salvarsi. Interpretato da Ryan Gosling (ormai specializzato in ruoli violenti e tormentati), l’agente K, nonostante la sua efficienza operativa è costretto a provare la sua ‘disumanità’ con dei test kafkiani cui viene periodicamente sottoposto alla centrale di polizia. Se nel primo film si facevano dei test per scoprire qualche replicante ribelle che si nascondeva tra gli umani, in Blade Runner 2049 la prospettiva è rovesciata e il povero K deve dimostrare di essere sempre un fedele e affidabile replicante, senza palesare cedimenti alle pulsioni e debolezze tipicamente umane. Ma proprio durante una missione, K (che non può neanche avere un vero nome) verrà in possesso di un oggetto che sconvolgerà la sua vita ‘artificiale’ e metterà in dubbio la sua identità e le sue origini. Perseguitato da frammenti di ricordi a cui non sa dare una spiegazione, K inizierà in cerca di risposte una serrata ricerca dell’ex agente Deckard che a quanto pare vive nascosto in qualche località remota…

Blade Runner 2049

Ma Villeneuve, insieme agli sceneggiatori Hampton Fancher e Michael Green, non segue strade scontate e il colpo di scena o il rovesciamento inatteso di prospettiva sono sempre in agguato, come nei suoi acclamati lavori precedenti Arrival e Prisoner. Quei nodi rimasti irrisolti nel primo capitolo, troveranno una risposta, come quello riguardo la vera natura di Deckard. Al di là della trama avvincente e misteriosa, ricca di pathos e suggestioni quasi bibliche, Blade Runner 2049 è soprattutto un film sulla memoria e sulla solitudine (sia dell’uomo che delle sue creazioni artificiali). La memoria può essere ingannevole, tanto più in un futuro dove i ricordi (e quindi le identità individuali) sono manipolabili e la solitudine pervade tutto il film, dalle folle multietniche e miserabili che abitano la cupa e piovosa Los Angeles ai singoli personaggi: K convive con Joi, una proiezione olografica di una ragazza ‘virtuale’ di cui è innamorato, Rick Deckard (un sempre carismatico Harrison Ford) se ne sta nascosto in un casinò abbandonato di una Las Vegas in rovina, con la sola compagnia di un cane, il replicante Sapper Morton (interpretato dal wrestler Dave Bautista) custodisce in solitudine un segreto ‘miracoloso’, prende in solitudine decisioni difficili Madame (Robin Wright) la severa comandante di K, vive isolato nell’oscurità il magnate Niander Wallace (Jared Leto) con la sua spietata assistente replicante Luv (Sylvia Hoeks) e per motivi di salute vive in totale isolamento la creatrice di ricordi Ana Stelline (Carla Juri). In un cammeo ricompare l’ex collega di Deckard, Gaff (Edward James Olmos), ormai pensionato in un ospizio ma sempre con l’hobby degli origami.
Le grandiose scenografie di Dennis Gassner e la magnifica fotografia di Roger Deakins dai raffinati cromatismi ci trasportano dalle avveniristiche megastrutture di Los Angeles, percorsa da ologrammi giganti e piogge incessanti, alle desolate terre esterne, avvolte in una perenne nebbia color ocra tra città abbandonate, montagne di spazzatura e colossali sculture in rovina. La colonna sonora ricalca efficacemente quella originaria di Vangelis.

Blade Runner 2049

Ovviamente Blade Runner 2049 non può avere la stessa forza dirompente e innovativa del capolavoro di Scott ma, oltre ad omaggiare con stile e passione il primo film, si spinge più avanti nelle visioni future della storia del 1982, recuperando anche alcuni aspetti del romanzo di Dick come l’immensa città di rifiuti e rottami fuori Los Angeles e l’organizzazione clandestina di liberazione dei replicanti. In fondo la lotta di classe tra sfruttati e sfruttatori, tra padroni e schiavi è sempre attuale nella fantascienza futuribile sin dai tempi del classico Metropolis. “Ogni progresso della civiltà è nato sulle spalle degli schiavi…” dice a un certo punto il personaggio di Niander Wallace. Non solo troviamo sinistramente familiare un mondo sconvolto da crisi ecologiche ed economiche ma una sorprendente evoluzione della natura dei replicanti renderà più labile il confine tra vita organica e vita artificiale o sintetica. A questo punto una domanda cruciale sembra emergere dalla distopia di Blade Runner 2049: in un’era in cui fosse possibile riprodurre tecnicamente l’essere umano, che cosa rimarrebbe dell’unicità e dell’essenza dell’uomo e come garantirne l’autenticità?
In attesa di diventare tutti sognatori di pecore elettriche, il grande pubblico, probabilmente assuefatto ai soliti block-buster sci-fi fracassoni, sembra per ora non aver apprezzato troppo questo secondo capitolo, come accadde inizialmente anche a Blade Runner, prima di divenire il capolavoro della settima arte che oggi continuiamo ad ammirare.

 

Titolo: Blade Runner 2049
Regia: Denis Villeneuve
Anno: 2017
Produzione: USA – Scott Free Productions, Alcon Entertainment – durata 152 minuti
Sceneggiatura: Hampton Fancher, Michael Green
Fotografia: Roger Deakins
Musiche: Jóhann Jóhannsson, Hans Zimmer, Benjamin Wallfisch
Scenografia: Dennis Gassner
Interpreti: Ryan Gosling, Harrison Ford, Ana de Armas, Sylvia Hoeks, Robin Wright, Dave Bautista, Edward James Olmos, Jared Leto

 


Trailer