Ci sono eroi capaci di riproporsi a distanza di decenni sfruttando media diversi, catturando l’affetto di fan grazie al senso di meraviglia suscitato dalle loro imprese. Buck Rogers è uno di questi esempi: nato nel 1928 dalla penna di Philip Francis Nowlan sulla rivista Amazing Stories, è stato trasposto in fumetti, drammi radiofonici, episodi seriali al cinema (1939) e telefilm, addirittura un gioco di ruolo, entrando a far parte dell’immaginario del popolo americano.
La longevità del personaggio è probabilmente dovuta a molteplici fattori; le avventure prendono ispirazione da titoli assai noti della letteratura di genere avventuroso e fantascientifico come il John Carter di Edgar Rice Burroughs del 1911.
Il protagonista è un eroe di vecchio stampo, coraggioso e ben schierato dalla parte della giustizia, e piace proprio perché fa leva su archetipi ben consolidati. E’ un pilota americano e si è lasciato alle spalle la sua epoca quando, a causa dell’inalazione di un misterioso gas radioattivo, è rimasto ibernato per cinquecento anni. Al suo risveglio l’universo è profondamente mutato: la tecnologia porta l’uomo su pianeti distanti popolati da razze aliene spesso ostili, i robot e le astronavi sono parte della vita quotidiana, e c’è una galassia tutta da scoprire ad attenderlo.
Il soggetto, per quanto accattivante, ha dovuto attendere lunghi anni prima di tornare sugli schermi dopo la semi sconosciuta – almeno in Italia – trasposizione degli anni Cinquanta prodotta dalla ABC. I gusti del pubblico di allora stavano cambiando ed incontravano altri generi cinematografici, e gli ingenui effetti speciali convincevano poco anche i giovanissimi, principale fascia di pubblico per questo tipo di telefilm. Era difficile attualizzare il personaggio mantenendo intatto lo spirito delle sue imprese, basate sul senso di meraviglia tipico delle space opera.
Dopo i 42 episodi della serie del 1950, per trenta anni nessuno ha proposto l’intrepido Buck e il suo fantasioso mondo popolato da donne bellissime e alieni pericolosi, dove le stelle brillano nei cieli e la vita è tutta un’avventura. A tutt’oggi nessuno degli episodi di questa prima serie TV su Buck Rogers risulta essere sopravvissuto.
La serie televisiva Buck Rogers in the 25th Century è stata realizzata tra il 1979 e il 1981 da Glen A. Larson, che ha curato personalmente la sceneggiatura di parecchi episodi. Il produttore è stato reso celebre da Galactica (1978), Supercar (1982), Manimal (1983), Automan (1983), L’uomo da sei milioni di dollari (1974) e Magnum P.I. (1988). Larson aveva intuito le potenzialità insite nell’esploratore della galassia e lo riportò sugli schermi con un film pilota, Capitan Rogers nel 25° secolo (1979); alla pellicola seguirono 35 episodi, trasmessi nel corso di due stagioni. Il film in realtà è un episodio di lunghezza doppia e getta le basi per il serial televisivo, ambientato nel 2491 e adattato in modo da assecondare i mutati gusti degli spettatori. Buck Rogers (Gil Gerard) viene trasformato in un pilota di razzi invece che di aeroplani. Stavolta finisce ibernato a causa di un misterioso incidente occorso durante una missione nel 1987. Si risveglia su un’astronave Draconiana, viene creduto una spia e si trova a dover farsi accogliere dai terrestri, poco propensi a credere alla sua versione dei fatti. Poco a poco scopre le terribili trasformazioni avvenute al suo pianeta mentre orbitava perso nel suo centenario sonno. La Terra è stata devastata dalla guerra nucleare e la radioattività ha sterminato gli abitanti, ora costretti a vivere in aree protette. La tecnologia sembra aver fatto fronte alle necessità primarie, ci sono computer e robot dotati di intelligenza artificiale evoluta al punto da relazionarsi con le persone. Le astronavi conducono i passeggeri da un pianeta all’altro, e una barriera riveste la Terra fungendo da frontiera. Gli alieni hanno quasi sempre fattezze umanoidi, spesso sono ostili e talvolta sono preziosi alleati. Scompaiono i ‘cattivi’ dai tratti orientali del serial cinematografico del 1939 e la società è decisamente multirazziale; le figure femminili, sebbene sempre interpretate da attrici avvenenti, in molti casi si dimostrano indipendenti e attive, pronte a combattere al fianco del protagonista. E’ il caso dell’affascinante Wilma Deering (Erin Gray), un colonnello del Direttorato. Come in altri telefilm coevi, il legame sentimentale viene suggerito allo spettatore da battute ammiccanti, talvolta maliziose.
La prima stagione vede Buck Rogers impegnato nella lotta al crimine galattico, sotto la guida del dottor Huer. Ci sono momenti degni di un noir, con accenni allo sfruttamento della prostituzione, al consumo di stupefacenti, ai complotti interplanetari, ai traffici più biechi orchestrati da alieni e più spesso da terrestri. L’azione violenta abbonda ma sempre viene rappresentata senza eccessive crudezze, come si conviene in uno spettacolo rivolto a grandi e piccini. Come nelle pellicole dedicate all’agente 007, una patina glamour ammanta le nefandezze, e gli avversari vengono sconfitti in un tripudio di scintille luccicanti, di raggi colorati, tra costumi di lamé degni di una serata in discoteca ai tempi della Febbre del sabato sera.
L’estetica dei costumi e delle scenografie rivisita le tavole illustrate e risente della moda del periodo, con abiti vistosi e trucchi appariscenti. Per essere una serie televisiva, gli effetti speciali sono notevoli e suscitano il meritato stupore: ci sono vivaci inseguimenti nello spazio e l’eroe è accompagnato dal robot antropomorfo Twiki e dal dottor Theopolis, un computer ‘portatile’ incredibilmente sofisticato appeso al collo del piccolo automa.
La seconda stagione cambia registro narrativo; le vicende di indagine poliziesca vengono abbandonate e con esse, alcuni personaggi tra cui il dottor Huer e il robot Theopolis. Buck Rogers si imbarca insieme a Wilma e a Twiki sulla Searcher, un’astronave diretta verso altri pianeti alla ricerca di eventuali colonie terrestri sopravvissute al conflitto fatale. Gli influssi di Star Trek, di Spazio 1999 e di Battlestar Galactica sono evidenti sia negli intrecci, sia nella compagine di comprimari. Tra essi spicca la figura di Hawk (Thom Christopher), un uomo uccello la cui specie è stata sterminata proprio dai terrestri. La creatura, inizialmente ostile e diffidente, diverrà il principale alleato di Buck Rogers.
Fino alla prima puntata della seconda stagione, l’introspezione si era limitata a seguire stereotipi di facile presa: Buck Rogers è il bravo ragazzone di provincia, guascone e piacente nonostante un filo di doppio mento e una pancetta che oggi implorerebbe un ritocco digitale. La sua compagna è una donna bella, emancipata ed intelligente, i robot servono per far ridere, e possono scorrere i titoli di coda. Con la seconda stagione, i personaggi mantengono tutta la loro bidimensionalità, tuttavia le battute e le situazioni hanno momenti tutt’altro che scontati. Stavolta non si tratta di riproporre fattacci di cronaca nera o complotti spionistici calandoli in un’ambientazione fantascientifica. Ci sono situazioni e personaggi capaci di instillare dubbi nel modo di concepire l’esistenza da parte dell’americano medio: il preteso primato degli esseri umani sulle altre forme di vita, il razzismo e l’emarginazione che accompagna l’espansione della civiltà terrestre ai danni degli altri popoli della galassia, i rapporti tra intelligenza artificiale e mente umana, la fede, il prezzo del potere, il valore del perdono, la tecnologia pronta a sostituirsi alle capacità di un cervello ben allenato. Gli spunti di riflessione vengono porti con apparente leggerezza, contrabbandati tra una scazzottata e una sparatoria, qualche inquadratura maliziosa e gli immancabili duelli tra astronavi.
Molti fan adulti a suo tempo scambiarono il tono disimpegnato con la superficialità, mentre i più piccoli, ammirato l’uomo falco o qualche altro prodigio degli effetti speciali, faticavano a identificarsi con i protagonisti e comprendere i loro problemi. In effetti, la serie è rivolta ad un pubblico familiare, e la sceneggiatura fa il possibile per coinvolgere spettatori di varia età e cultura. Ci sono elementi graditi ai giovanissimi, e ci sono le ingenuità tipiche delle produzioni destinate a quella fascia d’età, dalla presenza del piccolo Twiky al lieto fine che corona ogni episodio.
Questi elementi sono costretti a convivere con altri rivolti agli adulti, con il triangolo Wilma-Buck- Principessa Ardala e con gli ammiccamenti erotici, con la violenza e qualche sequenza horror. Sembra quasi che Larson, dopo il mezzo flop dell’interessante Battlestar Galactica, abbia voluto rimediare offrendo un prodotto più commerciale, e almeno in apparenza, rassicurante. A tal fine, la serie accumula soluzioni narrative talvolta contraddittorie. La stessa breve introduzione che apre ogni episodio recita «1987: anno che segna la fine dell’era di ricerche spaziali americane. Buck Rogers e il suo ambiquadro Twiki sono gli unici sopravvissuti alla terribile catastrofe che distruggerà ogni forma di vita sulla Terra. A bordo della sua aeronave, viene catapultato in un’orbita sconosciuta che ibernerà i suoi centri vitali per ben 500 anni.» Ebbene, nel film pilota il piccolo robot è figlio della tecnologia del futuro e viene affiancato a Buck quando questi è a Nuova Chicago! E’ solo un esempio delle incoerenze di una serie peraltro gradevole, capace di suggestionare l’immaginario degli spettatori nonostante sia stata cancellata dopo appena due stagioni. Il telefilm riassume i fasti e le ingenuità delle produzioni fantascientifiche degli anni Ottanta, con il loro sapore trash e le sequenze ricche di effetti speciali riproposte in ogni puntata, con le sceneggiature fracassone quanto creative e una recitazione… non proprio shakespeariana. Di tanto in tanto i media annunciano remake e rivisitazioni fumettistiche, e tra affermazioni e disdette, c’è da chiedersi come potrebbe essere la nuova versione. Si vocifera di un adattamento di Armageddon 2419 AD, il romanzo del 1928 che ispirò le varie trasposizioni, oppure di un reboot della serie stessa. Di certo il telefilm ha lasciato un segno indelebile e nel corso degli anni è diventato un piccolo cult.
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