C’era una volta l’horror made in Italy, quello di Bava e del primo Dario Argento, di Fulci e dei tanti emuli che nel corso degli anni Sessanta e Settanta hanno strappato brividi alle platee nostrane. Gli ingredienti delle loro pellicole erano apparentemente a buon mercato: le vicende erano ambientate negli angoli meno noti delle nostre città, gli attori erano esordienti talentuosi, gli effetti speciali apparivano dichiaratamente artigianali. La sceneggiatura sfruttava con estrema intelligenza i pochi mezzi a disposizione, e il montaggio faceva veri e propri miracoli per minimizzare la povertà e creare la giusta atmosfera. Alla lezione offerta da quel modo di fare cinema si ispira i Fiori di Baal (2013), opera prima di Leonardo Pepi.
Il regista fiorentino ha imbastito una vicenda horror basata su un pericoloso testo di botanica, finito nelle mani di due studenti, interpretati da Giacomo Sambusida e dallo stesso Leonardo Pepi. Il trattato nasconde le istruzioni per creare una pianta dagli usi malefici attraverso un rito arcano. Dal momento in cui il protagonista entra in possesso del libro lo spettatore è catapultato in un mondo onirico, popolato dalla presenza di una misteriosa ragazza, Miriam (Marina Galeotti). La giovane sembra conoscere molti dettagli dell’antico trattato, e seduce uno dei due studenti invitandolo più volte in una villa isolata. Gli incontri hanno il sapore di un bizzarro sogno, o di un inganno costruito ad arte per far impazzire il protagonista. Tra dialoghi esoterici e bevande allucinogene, lo studente resta sempre più confuso, ed ogni suo tentativo di scoprire la verità si risolve in un fallimento. Vita quotidiana e fantasia si susseguono e si mescolano, scandite dalla periodica comparsa di alcune streghe che ballano attorno ad un calderone in una campagna disabitata. ‘Niente è reale’, suggerisce l’epilogo: ma davvero è stato tutto un incubo?
I Fiori di Baal è un’opera di esordio, realizzata a partire dall’estate del 2011 e completata in un paio di anni con mezzi contenuti e passione sconfinata. Il film accusa i limiti propri dei vecchi B-movies, con i trucchi vistosamente artigianali, qualche sequenza un po’ troppo lunga, una sceneggiatura che porge svariati indizi interessanti e poi ne sviluppa soltanto alcuni. Sono debolezze comuni ad altre pellicole realizzate in condizioni analoghe, e nel caso di Fiori di Baal sono spesso causate dalla mancanza di mezzi e di attrezzature idonee. La padronanza del linguaggio cinematografico è evidente e i limiti stavolta sono compensati da altrettanti pregi. Con intelligenza il regista compie scelte indipendenti, e si permette una libertà narrativa rara da trovare sullo schermo. In molti casi, sfrutta le stesse debolezze e le trasforma in un sentito omaggio ai classici del passato.
Il soggetto è insolito, ammicca al folklore delle campagne e dei racconti delle serate di veglia, e alle leggende metropolitane nate dall’urbanesimo degli anni del boom economico. La stregoneria è quella delle ‘fole’ e dei ‘filò’, con riti cruenti officiati a una divinità di biblica memoria (il dio Baal della mitologia fenicia) e un sottofondo esoterico che ricorda gli esperimenti degli alchimisti del Seicento. La suggestione è tanta eppure alla base delle peripezie del protagonista c’è un fondo di concretezza tipico dell’horror nostrano. Lo spettatore può dar fiducia alle allucinazioni del protagonista oppure può immaginare una macchinazione ordita ai suoi danni, creata con l’aiuto di estratti di erbe e con la complicità del maggiordomo della villa. Le stesse rivelazioni di una zingara che di tanto in tanto incontra i protagonisti al parco potrebbero essere orchestrate dalla stessa Miriam.
L’epilogo che conclude la vicenda forse appare sbrigativo, tuttavia riporta lo spettatore con i piedi per terra senza sminuire l’atmosfera paurosa costruita fino ad allora. La suggestione è l’elemento portante della pellicola e viene orchestrato con scelte accorte. I dialoghi alternano momenti piuttosto prosaici a battute sopra le righe, in modo da suggerire la natura sovrannaturale degli eventi. Le location scelte per le riprese sono suggestivi scorci di una Firenze lontana dagli itinerari turistici, con le ville isolate sui colli e i parchi cittadini, i negozi di libri usati, i vicoli: luoghi assai terreni, rivisitati con lo sguardo estraniante della macchina da presa. Gli effetti speciali sono volutamente artigianali, realizzati con professionalità dalla bottega di Filistrucchi, un esercizio storico che da secoli assiste le produzioni teatrali fiorentine. Lo stesso Gherardo Filistrucchi compare in un cameo, impersona un commerciante di libri usati. La fotografia di Filippo YouSuk Oh è interessante, esaspera il contrasto tra luce ed ombra, l’uso di gelatine colorate aumenta la sensazione di trovarsi immersi in un incubo, e la scelta delle inquadrature rifugge la banalità da fiction televisiva. La presenza delle streghe è un ulteriore elemento onirico, e porta lo spettatore in un’altra dimensione, fuori dal tempo e dallo spazio così come lo concepiamo. La colonna sonora enfatizza le atmosfere claustrofobiche.
Pur trattandosi di un film quasi amatoriale, I Fiori di Baal trasmette uno sconfinato amore per il cinema di genere, un sentimento sincero che purtroppo latita in gran parte dei titoli destinati alla grande distribuzione. In mezzo a tante pellicole artefatte, povere di idee originali e farcite di effetti speciali realizzati in post produzione da esperti di grafica digitale, Leonardo Pepi offre con modestia quanto il cinefilo si attende ad ogni proiezione, spesso restando inappagato. Non c’è da stupirsi se Fiori di Baal ha partecipato al Festival internazionale del cinema a Londra, e al Puchon International Fantastic Film Festival. E’ proprio il cuore stavolta a fare la differenza: la passione e le emozioni sincere oggi sono merce rara.
Regia: Leonardo Pepi
Anno: 2013
Produzione: Italia – Leonardo Pepi – durata: 90 min.
Sceneggiatura: Leonardo Pepi
Fotografia: Filippo YouSuk Oh
Musiche: Kevin MacLeod
Trucchi: Gherardo Filistrucchi
Interpreti: Giacomo Sambusida, Leonardo Pepi, Marina Galeotti, Virginia Pini, Jagoda Pieronek, Giulio Betti
Trailer