Lockhart, un ambizioso e tormentato broker di Wall Street, viene inviato dagli alti dirigenti della sua società a recuperare Pembroke l’amministratore delegato dell’azienda che sembra non voler far più ritorno a New York, dopo essersi rifugiato in un misterioso centro benessere, situato in una remota regione delle Alpi Svizzere. Ma, giunto sul posto, Lockhart deve rinunciare a una veloce risoluzione della sua missione, infatti un incidente stradale lo costringe a rimanere come paziente riluttante nella casa di cura. Ben presto la struttura, apparentemente accogliente e serena, si rivela essere un luogo sinistro e pieno di misteri, dove l’ambiguo Dottot Volmer somministra ai pazienti delle strane cure basate sulle miracolose proprietà dell’acqua locale. Lockhart sperimenterà a sue spese, gli spiacevoli effetti collaterali delle cure e quanto sia difficile lasciare il centro benessere…
Dopo aver diretto film ‘dimenticabili’ come The Ring (remake fotocopia di quello giapponese), Pirati dei Caraibi (serie di successo ma alla lunga ripetitiva), Lone Rangers (grande flop della Disney), il regista Gore Verbinski ci sorprende positivamente con un horror di serie A, La cura del benessere che possiamo sicuramente incoronare come film più inquietante dell’anno. In effetti il nostro Gore Verbinski (nome molto ‘horror’) aveva già fatto intravedere nei suoi lavori precedenti un certo talento visionario e una padronanza tecnica del mezzo registico non disprezzabile di fronte a tanti filmetti found-footage che imperversano nel recente cinema dell’orrore. Quello che mancava nei suoi film precedenti, un plot narrativo originale e un’ambientazione suggestiva e insolita, non manca invece ne La cura del benessere che ci tiene incollati alla poltrona nonostante la pellicola abbia una durata significativa. Certo, come per alcuni dei più riusciti (e spaventosi) horror degli ultimi tempi (The Signal, It Follows,… ) non tutti i nodi vengono sciolti adeguatamente e non su tutti gli aspetti dell’intricata vicenda viene fatta luce, rischiando così di creare nello spettatore un senso di frustrazione dopo che era stato catturato dall’incipit intrigante e dal ritmo serrato. Eppure, quello che per altri film di questo genere può essere considerato un grave difetto, ne La cura del benessere sembra quasi passare in secondo piano (non per tutti, beninteso): le atmosfere misteriose, la cura per i dettagli della regia di Verbinski, la splendida fotografia di Bojan Bazelli, elevano la pellicola dalla mediocrità imperante e ci fanno sorvolare su alcuni sviluppi farraginosi a livello di sceneggiatura (su cui comunque torneremo in seguito nella sezione spoiler).
Il film si apre con la magistrale sequenza ‘aerea’ tra i grigi grattacieli di una cupa New York dove assistiamo (con angoscia) a un attacco cardiaco che colpisce uno stressato broker in ufficio. Il suo posto verrà preso dal giovane e rampante dirigente Lockhart (interpretato da un efficacemente antipatico Dane Dehaan, molto simile al Leonardo Di Caprio di Shutter Island) costretto dagli odiosi membri del consiglio d’amministrazione ad andare a recuperare il suo amministratore delegato (in odore di pazzia), ricoverato in una lussuosa spa sulle Alpi Svizzere. Qui il protagonista, ansioso di sbrigare in fretta la scomoda missione, si ritroverà intrappolato con il passare dei giorni in una situazione da incubo dove gli sarà sempre più difficile distinguere tra ciò che è reale e ciò che non lo è, sulla falsariga di altri classici thriller psicologici. Oltre ai misteri del centro benessere e delle sue inusuali cure, il giovane dovrà anche confrontarsi con i fantasmi personali del suo tormentato passato famigliare che gli si presentano sotto forma di dolorose visioni e flash-back allucinati. Ma Verbinski non si accontenta di mettere in scena una vicenda dagli ambigui e sfumati elementi paranormali ma, pur rischiando di mettere troppa carne al fuoco, aggiunge più concreti elementi orrifici a cominciare dalla solitamente placida e noiosa Svizzera che diventa un luogo di oscuri segreti, castelli gotici e abitanti ostili e degenerati di reminiscenza lovecraftiana. Poi il regista non ci fa mancare il sempre attuale ‘body horror’ fatto di sgradevoli trasformazioni corporee e mentali, esperimenti proibiti, bizzarre terapie, e forzate sedute dentistiche a cui viene sottoposto il protagonista dopo il suo fallito tentativo di fuga dal centro. Lo stesso villain, l’affabile ma ambiguo Dottor Volmer (Jason Isaacs) nasconde terribili segreti e ossessioni degni dei migliori ‘mad doctors’ dell’horror classico, da Frankenstein al Dr.Phibes. Inoltre non poteva mancare la presenza lungo tutto il film di viscide creature come le anguille, anche se in verità il loro esatto ruolo nella vicenda non è ben chiaro, come se si trattasse di MacGuffin di hitchcockiana memoria, ovvero degli espedienti narrativi con cui si fornisce dinamicità a una trama. Non va dimenticato tra gli aspetti suggestivi del film la bellezza ‘gotica’ della giovane protagonista femminile Hannah (Mia Goth, gotica di nome e di fatto) che vive reclusa da sempre nel centro benessere, la sola paziente non anziana dalle misteriose origini e forse unica alleata per Lockhart quando lui cercherà di tentare la fuga.
Come abbiamo anticipato, chi non si fa ammaliare dalla veste esteticamente pregevole della pellicola, dalla accattivante colonna sonora composta da un motivo al contempo malinconico e sinistro, dal ricorso a tematiche ed argomentazioni lontane dalle logiche commerciali del cinema attuale (non solo horror), avrà però sicuramente da ridire sullo svolgimento e sugli sviluppi finali della vicenda che per certi aspetti rimane oscura e confusa quando deve riannodare tutti i fili dell’intreccio. E in effetti si ha l’impressione che l’ambizioso Verbinski si sia fatto un po’ prendere la mano dal suo talento visionario, trascurando o mettendo in secondo piano quella coerenza narrativa che ci si aspetterebbe da un thriller di livello. Ma probabilmente si sono volute privilegiare le atmosfere oniriche e misteriose, e una regia e un montaggio attenti principalmente ai dettagli (si veda l’importanza data all’acqua come elemento, sin dalle prime scene); ma in certi casi si perde la visione d’insieme e i numerosi spunti narrativi e tematici che si accumulano rimangono appena abbozzati, irrisolti o semplicemente superflui. Anche il finale rimane poco chiaro e fuori ‘registro’, questo probabilmente perché il regista ha voluto mischiare audacemente il thriller psicologico dalle atmosfere surreali (alla Polanski o alla Lynch, per intenderci) con il più ‘basso’ fanta-horror dei mad doctors, il tutto ammantato da splendide scenografie gotiche venate di soprannaturale. Ma, nonostante i vari aspetti di questo horror ‘crossover’ non siano ben amalgamati o coerenti con le premesse, evidentemente Verbinski ha voluto citare e omaggiare, soprattutto nel finale, un certo cinema horror classico a cominciare dal Fantasma dell’Opera di Lon Chaney, almeno sotto l’aspetto visuale.
Spoiler!
Come possiamo vedere dallo ‘spoiler’ non mancano ne La cura del benessere i punti interrogativi, gli aspetti improbabili e i buchi di sceneggiatura che lo rendono forse un capolavoro ‘mancato’, ma secondo noi, oltre alle suddette qualità stilistiche ed estetiche della pellicola, il fatto di trovarsi sempre in bilico tra registri e toni diversi, ora sofisticati, ora trash, lo fanno essere un film capace ancora di sorprenderci, cosa inconsueta nel panorama dell’attuale cinema horror mainstream.
Titolo originale: A Cure for Welness
Regia: Gore Verbinski
Interpreti: Dane DeHaan, Jason Isaacs, Mia Goth, Celia Imrie, Susanne Wuest
Fotografia: Bojan Bazelli
Musiche: Benjamin Wallfish
Distribuzione: Twentieth Century Fox
Durata: 146′
Origine: Usa 2017
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