Il nobile Wilbur Whateley con antenati dediti alla stregoneria è interessato a procurarsi una rara copia del Necronomicon, il libro maledetto dell’occulto, appena giunto all’Università di Miskatonic. Ma il prof. Armitage che lo sta studiando, non è dello stesso avviso. Allora Wilbur con le sue doti ipnotiche riesce a sedurre e attirare Nancy, la giovane allieva di Armitage, nella sua villa per coinvolgerla in oscuri riti magici che hanno l’indicibile scopo di evocare le antiche divinità che un tempo dominavano sulla terra…
Le vergini di Dunwich (o La vergine di Dunwich) è il terzo (ed ultimo) film tratto dall’opera di H.P.Lovecraft prodotto dall’American International Productions di Roger Corman che cercava una valida e remunerativa alternativa ai film tratti da E. A. Poe. Diretto da Daniel Haller, già scenografo di fiducia di Corman e passato dietro la macchina da presa per la prima volta con La morte dall’occhio di cristallo (tratto da Il colore venuto dallo spazio), Le vergini di Dunwich ricalca abbastanza fedelmente nella trama il racconto di Lovecraft L’orrore di Dunwich, pubblicato nell’aprile 1929 sulla rivista Weird Tales. Eppure questa curiosa pellicola ha ben poco di lovecraftiano, infatti Haller sembra avere grande difficoltà (o disinteresse) a rappresentare in immagini l’orrore cosmico del ‘Solitario di Providence’. Ogni elemento orrifico lovecraftiano con le sue gelide e malsane atmosfere è smorzato o annacquato se non del tutto assente, in favore di una datata messinscena ricca di coloriti effetti psichedelici in chiave pop, accompagnati da una colonna sonora melodrammatica del tutto inadatta al tipo di storia. Nel racconto il colossale mostro, gemello di Wilbur e figlio di Yog-Sothoth, viene tenuto rinchiuso in un fienile, invece nel film, molto più modestamente, è tenuto prigioniero in soffitta dietro una fragile porta.
Deludentissimo e sbrigativo il finale con un ridicolo scontro a base di incantesimi e con una fugace apparizione della creatura realizzata assai modestamente anche sotto il profilo degli effetti speciali. Alla quasi totale mancanza di suspense e di senso del mistero contribuisce anche la prova degli interpreti a cominciare dalla bionda Sandra Dee (quella di Scandalo al sole) troppo remissiva ed abulica nella parte di Nancy. Dean Stockwell, nella parte del mago beatnik, appare troppo allucinato per risultare veramente inquietante. Nonostante il budget ridotto, le scenografie sono allestite con una certa ricchezza e la fotografia con i suoi viraggi dai vivaci colori rende il film abbastanza piacevole alla visione se ci si dimentica che è una trasposizione di un racconto di Lovecraft. Apprezzabili anche i titoli di testa con disegni neri su sfondo blu di bizzarra eleganza, come la collina che si trasforma in un mostro gigantesco. L’accento posto sui riti pagani e sulle invocazioni ai Grandi Antichi ricorda un altro film di ben altra qualità, The Wicker Man (1973) incentrato su un’antica religione celtica precristiana praticata su una sperduta isola della Scozia. Dato lo scarso risultato ottenuto al box office Le vergini di Dunwich rimarrà per tutti gli anni ’70 l’unica trasposizione ufficiale sul grande schermo di un’opera di Lovecraft. Nel 2009 esce una nuova riduzione televisiva, The Dunwich Horror tratta dal racconto di Lovecraft. Curiosamente tra gli interpreti è presente ancora Dean Stockwell.
Titolo: Le vergini di Dunwich (The Dunwich Horror) Anno: 1970 Regia: Daniel Haller Produzione: USA - A.I.P. - Roger Corman - Durata: 90 min. Sceneggiatura: Curtis Hanson, Henry Rosenbaum, Ronald Silkosky Fotografia: Richard C. Glouner Scenografia: Paul Sylos Musica: Les Baxter Interpreti: Sandra Dee, Dean Stockwell, Ed Begley, Lloyd Bochner, Sam Jaffe
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