“Il primo giorno lo senti, il secondo lo vedi e il terzo ti prende.“
Nel 1995 in Bhutan, quattro giovani escursionisti scoprono in una caverna un sinistro scheletro di un essere umanoide dotato di otto braccia. Uno di loro apparentemente scioccato dall’insolito ritrovamento, sembra entrare in uno stato catatonico. 23 anni dopo negli USA in una piccola città del Midwest, quando un gruppo di ragazzi iniziano a scomparire misteriosamente, la gente del posto crede che sia opera di una leggenda metropolitana nota come The Empty Man. Mentre James Lasombra, un poliziotto in pensione, sulle tracce di una ragazza scomparsa, indaga e si sforza di dare un senso alle storie di sparizioni e suicidi, scopre una setta segreta, il Pontifex Institute i cui tentativi di evocare un’entità mistica e orribile, sconvolgeranno presto la sua vita e le vite di coloro che gli sono vicini…
Se avete intenzione di cimentarvi nella visione di L’uomo vuoto (The Empty Man, 2020), non fatevi fuorviare dal titolo, dal trailer o dalla frase di lancio sopra riportata: non si tratta del solito teen horror soprannaturale con qualche Bau Bau o Uomo Nero che perseguita e uccide gli sciocchi ragazzini di turno che magari lo hanno evocato o risvegliato imprudentemente. Il film di David Prior è molto di più, fortunatamente, anche se a un certo punto non mancano dei ragazzi che evocano una pericolosa entità ma non è quello il fulcro del film. Un po’ come il cult It Follows (che non è il solito slasher movie), L’uomo vuoto, basato su un’omonima graphic novel di Cullen Bunn e Vanesa R. Del Rey, va al di là dell’horror mainstream, tanto che possiamo considerarlo un horror soprannaturale ‘filosofico’, ma non per questo noioso o poco pauroso. Infatti Il film è in parti uguali filosofia, mistero e paura. E quando parliamo di paura intendiamo quello di matrice ‘lovecraftiana’ ovvero la paura dell’ignoto, la più potente delle paure che affliggono il genere umano secondo H.P. Lovecraft. Il lungo antefatto alla vicenda (oltre 20 minuti prima dei titoli di testa) è innegabilmente lovecraftiano, con il ritrovamento, da parte di un gruppo di escursionisti, di un inquietante scheletro in una caverna nelle montagne del Bhutan, la cui nefasta influenza non tarderà a farsi sentire sui malcapitati visitatori. Lo stesso si può dire della presenza di una setta esoterica chiamata Pontifex Society che sembra attendere la venuta (o lavorare alla creazione) di un’ entità malefica conosciuta come l’Uomo Vuoto. L’aspetto ‘filosofico’ è costituito dal folklore tibetano o meglio dall’astrusa ed enigmatica pratica del tulpa, secondo cui tramite meditazione e concentrazione, praticata da soli o in gruppo, è possibile materializzare un pensiero, un’idea o persino un’entità incorporea. In altre parole il potere del pensiero che prevale sulla materia, secondo la filosofia buddhista. Dopo il lungo orrifico prologo, che potrebbe quasi costituire un film a se stante, (dove assistiamo al risveglio di un’entità demoniaca), arriva il fulcro del film dove prevale l’elemento mistery dato dall’indagine del protagonista, ex poliziotto dal passato tormentato, diventato un detective privato secondo tradizione hard boiled, (interpretato validamente da James Badge Dale) alla ricerca di una ragazza scomparsa, figlia di una sua vicina di casa. Fatto a sua volta collegato alla sparizione di altri ragazzi della zona, a quanto pare dediti per gioco all’evocazione di una pericolosa entità soprannaturale legata a una leggenda urbana. Ma l’elemento teen horror convenzionale è solo uno specchietto per le allodole, infatti il film vira nuovamente verso l’orrore lovecraftiano quando le indagini portano all’Istituto Pontifex e ai suoi inquietanti studi e manipolazioni sulla mente. I loro concetti preferiti sono espressi da frasi come “La ripetizione è la morte del significato” o “Quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso ti guarda dentro“.
In proposito risulta magistrale la scena in cui il detective assiste di nascosto nel bosco agli adepti che danzano intorno a un grosso falò, sotto un freddo cielo stellato che non può non suscitare negli spettatori più ricettivi brividi da orrore cosmico. L’esordiente regista David Prior (già produttore e documentarista) mette molta carne al fuoco con la sua opera prima di oltre 2 ore che ci trasporta inesorabilmente verso un colpo di scena finale molto criptico e spiazzante per lo spettatore, dove realtà e allucinazione risultano inestricabili. L’uomo vuoto è un film bizzarro e ambizioso, sempre in bilico tra le varie anime dell’ horror, capace di cambiare strada in corsa più volte. Il finale piuttosto incomprensibile e visivamente confuso non inficia troppo il fascino atipico di questa pellicola che unisce atmosfere inquietanti e una certa ricercatezza estetica. Le sequenze eleganti e le soluzioni registiche originali non vanno detrimento della suspense. Per L’uomo vuoto critici e commentatori hanno ravvisato, oltre a Lovecraft e al tulpa buddhista, altre varie influenze ispiratrici come Carpenter, Stephen King, True Detective (stag.1), il folk-horror di Ari Aster, il nichilismo di Friedrich Nietzsche, il mito ebraico del Golem… Curiosamente alcuni punti di contatto si possono ravvisare anche nello sceneggiato RAI Voci Notturne (1995) per quanto riguarda le tematiche esoteriche e le atmosfere cupe e senza speranza. Inoltre anche in Voci Notturne è presente una misteriosa setta dei Pontefici (ovvero i ‘costruttori di ponti’, pontifex in latino) dediti a imperscrutabili riti e a sacrifici umani dai tempi della Roma arcaica. I ponti sono un elemento ricorrente nel film di Prior con tutta la loro valenza simbolica, passaggio sospeso fra l’immanente e il trascendente. Come in altri film horror recenti non tutti i tasselli dell’intricato mistero vanno a loro posto, qualcosa rimane sempre avvolto nel vago e nell’enigmatico. Ad esempio a quale creatura appartiene lo scheletro con otto braccia rinvenuto dagli sventurati alpinisti nelle scene iniziali? Fortunatamente in Empty Man non ci sono troppi spiegoni e quelli che ci sono possono essere addirittura fuorvianti. Del resto è un film che richiede una certa attenzione ai dettagli. Uno su tutti la scena in cui il detective entra per la prima volta all’Istituto Pontifex e la macchina da presa indugia per un attimo (a beneficio dello spettatore) su un dipinto della baita in cui hanno trovato rifugio i quattro escursionisti all’inizio del film. Nella sottostante sezione spoiler segnaliamo un film che per quanto riguarda il protagonista principale e il colpo di scena finale possono richiamare quelli di L’uomo vuoto.
Spoiler!
Alla sostanziale riuscita del film contribuiscono la fotografia di Anastas Michos dalle fredde tonalità bluastre e la colonna sonora del compositore Christopher Young (specializzato in horror) composta insieme al musicista Brian Williams in arte ‘Lustmord’, ritenuto il creatore del genere “dark ambient”. Essendo un horror d’atmosfera, L’uomo vuoto non punta eccessivamente sullo splatter o sui canonici jump scares, anche se non mancano alcune scene ‘forti’ come l’omicidio/suicidio in sauna di una ragazza che muore pugnalandosi al volto con un paio di forbici. Infine per quanto riguarda il cast, oltre al già citato James Badge Dale sempre efficace nella parte del tormentato investigatore dal passato oscuro, citiamo Aaron Poole, già protagonista del lovecraftiano The Void, nel ruolo dell’unico superstite della spedizione nelle montagne del Bhutan.
Una cosa è certa, come per altri film horror recenti piuttosto enigmatici e non convenzionali (The Lighthouse, Come True…), L’uomo vuoto necessita di una seconda visione da parte dello spettatore.
Titolo Originale: The Empty Man
Regia: David Prior
Produzione: 2020 – USA – Boom! Studios, Out of Africa Entertainment
Sceneggiatura: David Prior
Fotografia: Anastas N. Michos
Musiche: Christopher Young
Interpreti: James Badge Dale, Stephen Root, Robert Aramayo, Tanya van Graan, Samantha Logan, Sasha Frolova, Ron Canada, Aaron Poole