Squid Game: i giochi coreani della morte
Squid Game (“Il gioco del calamaro” in Corea del Sud è un tradizionale gioco per bambini, praticato fin dagli anni ’70), è una serie televisiva sudcoreana, scritta e diretta da Hwang Dong-hyuk, che pur non brillando certo per particolare originalità, è diventata in breve tempo uno dei casi mediatici più virali del 2021, grazie alla distribuzione sulla popolare piattaforma di streaming Netflix e ad una indubbia efficacia nella messa in scena e nell’iconicità stessa del prodotto, diventando l’opera d’intrattenimento più vista in oltre settanta nazioni.
La vicenda narra una bizzarra storia che coinvolge 456 persone afflitte da ingenti debiti e ritrovatesi ai margini della società, che vengono consapevolmente coinvolte in un folle gioco al massacro per vincere un enorme premio in denaro e risollevare le proprie esistenze. Non è casuale la scelta del numero 456 che è ricorrente nel corso della serie (il protagonista vince 4560000 Won ai cavalli, il suo numero da giocatore all’interno dello Squid Game è proprio il 456 e il montepremi finale dei giochi ammonta a 45600000000 Won.
Strutturata in nove episodi in lingua originale ma fortunatamente sottotitolati anche in italiano, la prima (per ora…) stagione della serie, si concentra prevalentemente sulla storia del protagonista Seong Gi-hun (interpretato da un intenso Lee Jung-jae), un uomo divorziato e sommerso dai debiti, un individuo immaturo che vive ancora con l’anziana madre e passa le giornate scommettendo ai cavalli in compagnia di un amico. Un giorno viene avvicinato in metropolitana da un uomo in giacca e cravatta che gli propone di giocare a un gioco con lui dandogli dei soldi in premio. Dopo aver giocato per qualche tempo, l’uomo gli consegna un biglietto con un numero telefonico da chiamare per partecipare ad una serie di giochi tradizionali per bambini per vincere una grossa somma di denaro. Egli decide di accettare l’offerta e si ritrova in un luogo sconosciuto insieme ad altre 455 persone con debiti simili ai suoi. I giocatori sono tenuti costantemente sotto controllo da delle guardie vestite con tute rosse, che indossano delle maschere nere con dei simboli (cerchio, triangolo e quadrato) che le inquadrano gerarchicamente. Durante il primo gioco, “un, due, tre… stella”, atterriti, i giocatori scoprono che l’eliminazione in ogni gioco coincide con una morte violenta.
Nel corso dei giochi, Gi-hun conosce altri giocatori, incluso il suo amico d’infanzia Cho Sang-woo, giunto lì a causa di frodi finanziarie, e un uomo anziano afflitto da demenza senile e tumore al cervello con il quale legherà fin da subito e che alla fine dimostrerà di non essere quello che sembra.
La serie fu scritta da Hwang già nel 2008, traendo spunto dalle sue difficoltà giovanili, oltre che ispirandosi alle disparità socio-economiche vigenti nell’odierna Corea del Sud, dove la competizione sociale è altissima e il fallimento non è contemplato, pena l’esclusione dalla società e la perdita di ogni stima personale. Un tema questo già affrontato da film come Parasite (2020) e in molti altri prodotti audiovisivi coreani. Ricordiamo che i survival games in TV sono molto popolari nella cultura dell’intrattenimento coreana e giapponese. L’autore fece fatica a trovare dei produttori disposti a finanziare l’opera, finché Netflix mostrò il suo interesse.
La serie travalica i limiti di genere; è un survival game (in questo molto simile a As the Gods Will di Takashi Miike del 2014 o, ancora prima, a Battle Royale di Kinji Fukasaku del 2000) ma allo stesso tempo è un horror, in alcuni momenti tendente allo splatter per la violenza mostrata e per la quantità di sangue versato; un dramma, perché racconta le tragiche vicende che riguardano le esistenze dei protagonisti (Gi-hun vuole vincere il premio per saldare i suoi debiti con gli strozzini ma anche per salvare la madre malata di diabete e riuscire ad ottenere l’affidamento della figlia); ma anche un thriller psicologico, con la sotto trama dell’agente di polizia infiltrato alla ricerca del fratello misteriosamente svanito dopo la sua partecipazione ai giochi di Squid Game.
Notevole la ricerca del dettaglio e l’iconicità voluta di cui si diceva sopra. I costumi rossi delle guardie, evidentemente ispirati alle tute de La casa di carta, le maschere e i biglietti da visita con i simboli geometrici globalmente associati alle console Playstation, l’aspetto inquietante del FrontMan e le maschere dei VIP costituite da teste di animali in cristalli dorati, sono state progettate proprio con in mente la produzione di futuri gadget e sono rivolte a un pubblico globale, non solo coreano. Anche le anonime tute dei giocatori sono già in vendita su Amazon. A tal proposito alcune regole dei tradizionali giochi asiatici per bambini sono state semplificate per evitare potenziali problemi linguistici con il pubblico occidentale. I set e i costumi colorati sono stati progettati per sembrare un mondo fantastico, un campo giochi, quasi un asilo per bambini. I corridoi labirintici e le scale si rifanno alle celebri illustrazioni delle scale quadridimensionali di Escher.
Anche dal punto di vista della recitazione, tolti gli eccessi di overacting che possono sembrare tali a un pubblico occidentale non avvezzo a prodotti d’intrattenimento orientali, siamo su livelli accettabili (salvo alcune eccezioni come l’odioso personaggio di Han Mi-nyeo, interpretata da Kim Joo-ryoung, veramente troppo sopra le righe). Qualcosa in più si poteva fare con la caratterizzazione di alcuni personaggi, non tutti riusciti pienamente.
In conclusione un prodotto che non può ovviamente essere definito un “capolavoro”, ma un dramma elettrizzante in grado di garantire “suspense” in ogni puntata e tenere vigile l’attenzione dello spettatore in questa deleteria epoca caratterizzata da una dilagante sindrome del deficit dell’attenzione. Relativamente convenzionale nella premessa ma non nella messa in scena e nella cura registica e scenografica, con alcune scene particolarmente crude e vette di cattiveria inaudita, si tratta di un ottimo prodotto. Molti i colpi di scena, alcuni prevedibili altri meno. Menzione particolare per i due giochi “mortali” più memorabili, a mio parere: il ponte di vetro e le forme da estrarre intatte (entro un limite di tempo) dai biscottini di caramello dalgona, dolcetti tipici coreani. Magistrale anche la lezione di strategia data dal vecchio Oh Il-nam, il giocatore 001, per vincere al gioco del tiro alla fune contro una squadra più forte fisicamente. Emblematico esempio di lavoro di “squadra”, dove i valori tipici delle società coreane e giapponesi come ubbidienza, disciplina e collaborazione vengono prima dell’individualismo del singolo.
Dopo aver scalato la classifica fino al primo posto nella top 10 serie tv su Netflix, Squid Game si confermerà come serie cult di livello internazionale?
Alessandro Taccari
Trailer