The Last Days on MarsLa prima spedizione su Marte si appresta a terminare la missione dopo sei mesi passati sul pianeta rosso a cercare tracce di forme di vita. Ma proprio quando tutti si preparano  a tornare a casa uno dei componenti della spedizione ritiene di aver trovato un campione di una forma di vita batterica marziana. Geloso della sua scoperta, lo scienziato si avventura di nascosto sul luogo dello scavo per cercare altre prove sulla vita marziana. Ma il terreno poroso crolla sotto i suoi piedi, facendolo sprofondare in un profondo crepaccio. I suoi compagni credono che sia morto, ma non è esattamente così…


L’esordiente Ruairi Robinson confeziona con The Last Days on Mars (2013) un film teso ed angosciante girato anche con una certa eleganza  e con buona padronanza degli stilemi del genere fantahorror, sempre in voga al cinema da Alien in poi. Ma questi sono anche i limiti della pellicola, troppo pesantemente derivativa e priva di qualsiasi originalità. Non sembra esserci alcun tentativo da parte di Robinson, che vuole andare sul sicuro per il suo esordio, di rinnovare o di discostarsi da quelle che sono ormai tematiche e situazioni usurate e risapute, già viste in decine di film, recenti o meno. Lo spettatore più ferrato in materia non potrà fare a meno di ricordare classici come Terrore nello spazio di Bava o Alien di Scott fino ad arrivare fino ai giorni nostri con Fantasmi su Marte, Pianeta rossoApollo 18Europa Report, etc… Anche gli astronauti infettati dal batterio che si trasformano in simil-zombi aggressivi, pur efficacemente sgradevoli ed inquietanti senza dover ricorrere ad esagerati effetti splatter, richiamano troppo alla memoria la recente valanga di pellicole e serie tv che trattano di epidemie, mutazioni e morti viventi. Lo sceneggiatore Clive Dawson ha cercato di rimanere fedele al racconto di Sydney J. Bounds “The Animators” del 1975 da cui è tratto il film. Gli unici aggiustamenti fatti riguardano il numero dei componenti della missione che passano da sei ad otto con l’aggiunta di due figure di sesso femminile, per stare al passo con i tempi. Per il resto ci si limita ad eseguire diligentemente il compitino creando un film ben confezionato, dotato di buona suspense e claustrofobico quel giusto, sulla scia dei già citati Apollo 18 ed Europa Report. Per fortuna il regista ci risparmia il ricorso all’usurato espediente del found footage. Efficace anche l’ambientazione marziana, come non mai polverosa ed ostile per l’essere umano. L’uso di effetti speciali CGI rimane saggiamente limitato a poche sequenze. Robinson non segue la strada del B movie trash  e citazionista (che però in qualche modo avrebbe riscattato o giustificato la mancanza di originalità) ma opta per una messinscena più drammatica e realistica che evita accuratamente qualsiasi sviluppo o approfondimento del mistero fantascientifico insito nel soggetto.
Ruairi Robinson di recente ha realizzato, stavolta con più ispirazione, un cortometraggio fantascientifico, The Leviathan che ha ottenuto in rete un notevole successo. Questo Moby Dick dello spazio potrebbe presto diventare un film.

 

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