True Detective, la serie creata e scritta da Nic Pizzolatto per HBO e uscita nel 2014 suddivisa in 8 episodi, ha lasciato un’impronta indelebile nel panorama televisivo al pari di altre serie TV che hanno lasciato il segno come Twin Peaks o X-Files. Le stagioni (4) sono antologiche, con ambientazioni diverse e protagonisti sempre nuovi.

 

 

 

 

 

Diretta dal talentuoso Cary Jogi Fukunaga la prima stagione di True Detective è stata un vero e proprio uragano che ha travolto il mondo della serialità televisiva. Dopo il successo ottenuto, sia di pubblico che di critica, invano si è cercato di replicarne il successo e di ricrearne l’inesplicabile fascino nelle stagioni successive. Eppure la ricetta di questo successo è apparentemente semplice, in parte già utilizzata al cinema (come ne Il Silenzio degli Innocenti).

1) Storia – Innanzitutto ci troviamo di fronte a una solida storia ‘crime‘ avvincente e ricca di misteri. Il cuore dell’indagine riguarda Dora Lange, una giovane donna trovata brutalmente assassinata in una piantagione abbandonata in Louisiana. Ben presto i due detective incaricati delle indagini si rendono conto di trovarsi di fronte all’operato di un feroce serial killer di donne e bambini che uccide seguendo rituali strani e terrificanti. La narrazione dalla struttura sofisticata e complessa si basa su continui flashsback infatti si svolge su tre piani temporali diversi a partire dagli anni ‘ 90 fino ad arrivare agli anni 2000. Questo dà all’indagine un andamento incalzante e l’attenzione dello spettatore non cala mai (purché la visione degli 8 episodi sia abbastanza concentrata). La regia di Fukunaga alterna abilmente momenti poetici e riflessivi, spericolate sequenze d’azione (con il ricorso ad arditi piani sequenza) e scene allucinate e visionarie (le visioni di Rust nel finale).
Fa da cornice alla storia, l’America profonda, rurale e degradata, rappresentata da un’umida e paludosa Louisiana, dove albergano mali nascosti, oscuri misteri, fanatismi religiosi ma anche sede di ammalianti paesaggi.

2) Protagonisti – Rendendo unica la narrazione di un crimine sconvolgente, la serie si concentra soprattutto sui due protagonisti: Rustin Cohle (Matthew McConaughey) e Martin Hart (Woody Harrelson). Tormentato e introspettivo, il “Rust” di McConaughey è il mattatore della serie, un anti-eroe a tutto tondo, depresso e perseguitato da un passato doloroso ma che sa essere un implacabile segugio alla ricerca della verità e un vero duro pronto a menare le mani all’occorrenza. I suoi dialoghi ‘filosofici’ in auto con il collega, intrisi di nichilismo e pessimismo cosmico, sono diventati leggendari e lo hanno reso un personaggio carismatico e indimenticabile. E’ la visione del mondo di Rust, disincantata e pessimista che contrassegna i momenti più filosofici e metafisici della serie. Per certi versi Rust è anche una figura ‘sciamanica’ capace di avere brevi visioni fantasmagoriche dovute alla sua passata e turbolenta esperienza nell’antidroga come infiltrato dove ha dovuto sperimentare svariate sostanze stupefacenti per calarsi nella parte in modo convincente. Martin è un poliziotto più convenzionale all’apparenza, ligio al dovere e con famiglia a carico che aspira a una normalità borghese a un passo dalla pensione ma in realtà è il tipico poliziotto (almeno nei romanzi e al cinema) dipendente da sesso e alcol. Ma alla fine saprà riscattarsi, tornando ad affiancare il collega Rust nel risolvere il difficile caso che in passato avevano dovuto abbandonare. Magnificamente interpretato da Woody Harrelson, il problematico Martin sembra uno sbirro uscito dai romanzi noir di James Ellroy. Il rapporto intenso ma conflittuale tra i due poliziotti e il disvelarsi delle loro anime corrotte e tormentate talvolta prevalgono sull’intreccio ‘giallo’ della storia che pure rimane appassionante e ben congegnato. Di fronte questi due personaggi ‘titanici’ gli altri interpreti sono destinati a rimanere sullo sfondo. Parziali eccezioni sono costituite dalla moglie di Martin (Michelle Monaghan) e ovviamente dal serial killer che apparirà solo negli episodi finali.

3) Influenze letterarie – Lo stile ‘nero’ e le atmosfere cupe e senza speranza di True Detective derivano dallo stesso Nic Pizzolatto, per la precisione dal suo libro Galveston, romanzo noir da cui è stato tratto un film nel 2018 ma che non ha nessuna attinenza a livello di trama con la serie TV. Ma la vera peculiarità di True Detective sono i suoi riferimenti letterari, insoliti e poco convenzionali, alla letteratura fantastica weird e alla filosofia nichilista. Su tutti va menzionata la raccolta di racconti Il Re in Giallo (The King in Yellow, 1895) di Robert W. Chambers, opera ‘cult’ riscoperta in anni recenti anche grazie al successo di True Detective, ma che in passato era stata presa come fonte d’ispirazione da H.P. Lovecraft per la creazione della sua ‘mitologia’ fantastica. Durante la loro indagine Rust e Martin si imbattono in misteriosi riferimenti a un luogo non ben definito chiamato Carcosa e a una figura enigmatica chiamate il Re Giallo. Si tratta di tracce vaghe e inquietanti di un male archetipo e inconoscibile che troverà una sua parziale spiegazione concreta solo nell’ultimo episodio. Nei racconti di Chambers Il Re in Giallo è un libro (in forma di commedia teatrale) inesistente o immaginario (come saranno gli pseudobiblia di Lovecraft e Borges) che può portare alla follia chi lo legge e che fa da tenue filo conduttore tra le storie weird horror dello scrittore. Il non-luogo di Carcosa, menzionata per la prima volta come città in rovina in un racconto breve del 1886 di Ambrose Bierce e ripresa poi da Chambers che la colloca allegoricamente su un pianeta alieno illuminato da due soli, in True Detective è il covo labirintico e ripugnante dove opera indisturbato l’assassino, grazie forse a coperture altolocate che i due detective cercheranno invano di portare alla luce. Ma l’influenza letteraria più significativa della serie è quella che ha contribuito a ispirare la figura di Rust Cohle e la sua peculiare visione del mondo, ovvero quella relativa a uno degli scrittori più controversi della letteratura, Thomas Ligotti, autore contemporaneo statunitense di horror soprannaturale e saggistica di stampo filosofico/esistenzialista. L’influenza del celebre saggio La cospirazione contro la razza umana, permeato di irriducibile “pessimismo cosmico”, sulla sceneggiatura di True Detective è molto evidente. Pizzolatto ha chiaramente modellato il personaggio di Rust sulle esperienze vissute dallo stesso Ligotti in gioventù quando abusò massicciamente di droghe e alcol che lo hanno portato ad accedere a stati d’illuminazione e percezioni superiori. Se ci si consente una battuta, grazie all’influenza di Ligotti, in True Detective, tra pessimismo cosmico e orrore cosmico, Leopardi incontra Lovecraft.

Attenzione SPOILER!

4) Esoterismo – L’aspetto sicuramente più originale della prima stagione di True Detective, sono i significati reconditi e i simbolismi occulti inseriti sapientemente nella vicenda. Questo aspetto esoterico/misterico aggiunge profondità alla trama e ai personaggi anche se a una visione distratta può sfuggire allo spettatore, soprattutto in una messinscena che spesso predilige il non detto e il non mostrato chiaramente. E’ l’intuitivo Rustin Cohle che per primo vedrà dietro gli omicidi del killer e le sparizioni di bambini in passato, la mano di un culto segreto che sembra coinvolgere personaggi potenti dediti a riti oscuri e sacrifici. Profondamente simbolico è il ricorrente segno della spirale rinvenuto sul luogo degli omicidi che vuole rappresentare il male, la corruzione e l’oscurità. Anche la figura del serial killer sembra ispirata al folklore, per la precisione al Green Man o ‘Uomo Selvatico‘, figura mitica legata alla tradizione europea, che simboleggia la forza della natura selvaggia, il caos che ignora le regole dell’uomo civilizzato. Mimetizzato sotto l’aspetto di un innocuo e insospettabile campagnolo, l’assassino rappresenta un male archetipo, una regressione a uno stato pre-umano che si esplica in un’esistenza amorale e selvaggia. Questo brutale e folle personaggio è molto diverso dal geniale e sofisticato Hannibal Lecter de Il Silenzio degli Innocenti, ma per certi aspetti risulta più credibile come serial killer.
Se pensiamo alla cronaca nera italiana, ci piace mettere in evidenza dei punti di contatto tra il famigerato e irrisolto caso del Mostro di Firenze con quello di True Detective: chi ha dimestichezza con il caso noterà delle similitudini tra la figura di Errol Childress (questo è il nome dell’Uomo Selvatico ben interpretato dall’attore Glenn Flesher) e alcuni dei sospettati di essere il mostro tra i cosiddetti ‘compagni di merende’ (più Lotti che Pacciani in verità). Come in True Detective anche qui abbiamo degli apparentemente anonimi e innocui abitanti della provincia rurale che conducevano una vita asociale e degradata (incesti, devianze sessuali, violenza…). Si ipotizzò nel corso delle indagini anche una pista ‘esoterica’ legata a personaggi insospettabili e altolocati in veste di possibili committenti degli omicidi delle coppie ma che non fu mai dimostrata in sede giudiziaria. Un’altra figura sospettata di essere il mostro di Firenze è il misterioso “Rosso del Mugello” (‘ufficialmente’ mai identificato) che qualche giornalista indipendente ritiene abbia goduto di protezioni e complicità per rimanere fuori dalle indagini. Neanche Rust e Martin riusciranno ad accedere al livello ‘superiore’ costituito dai mandanti/complici degli efferati delitti.
Un’altra tematica suggestiva presente nella serie, è quella del Tempo che costituisce l’ossessione di Rust come si evince dalle sue esternazioni filosofiche sull’argomento. Il Tempo è visto come un’entità ostile e ingannevole, una vera maledizione per la razza umana che è destinata a rimanere intrappolata in un eterno ciclo ripetitivo di eventi spesso negativi (come la morte delle povere vittime dell’assassino). La visione circolare del tempo era propria anche degli antichi a cominciare dai Greci e strettamente connessa con la morte, evento ineluttabile per tutti come ne è ben consapevole il pessimista Rust. Così viene descritto il fantomatico Re Giallo durante l’indagine secondo una testimonianza raccolta dai detective:

« Colui che divora il tempo… i suoi indumenti sono un vento di impercettibili voci… gioite: la morte non è la fine. » (Episodio 7)

La prima stagione di True Detective ha ottenuto numerosi riconoscimenti, guadagnandosi lo stato di cult, e ha introdotto il pubblico a un tipo di spettacolo televisivo più maturo e sofisticato, ricco di suggestioni letterarie/filosofiche/esoteriche, senza mai tralasciare tuttavia la sua natura di avvincente intrattenimento.

Ardono stelle nere: la notte è misteriosa,
là dove strane lune s’aggirano nei cieli,
ma ben più strana è la persa
Carcosa

….
“Canzone di Cassilda”

IL Re in Giallo, Atto I, Scena 2°

 

Fonti (per approfondire)
AxisMundi: “True Detective”: Childress, Pan e il Wildermann

 

True Detective – le stagioni successive

 

Tutte le successive stagioni di True Detective saranno inevitabilmente affossate dal confronto con la prima ineguagliabile serie. Eppure dovrebbero essere rivalutate, senza fare inopportuni confronti, a cominciare dalla stagione 2 (2015) che si avvale di un cast sontuoso composto da Colin Farrell, Rachel McAdams, Vince Vaughn e Taylor Kitsch. Coraggiosamente Nic Pizzolatto ha deciso di cambiare completamente registro, tematiche e ambientazione tagliando i ponti con la prima stagione. Anche la regia vede diversi registi alternarsi per ciascun episodio, infatti il brillante Fukunaga non c’è più. Ma pubblico e critica non hanno apprezzato. Tuttavia si tratta di una storia ben scritta, seppur più convenzionale e priva del fascino misterioso della prima stagione. E’ una storia di sbirri corrotti, ambiziosi gangster e intrighi politici di ambientazione urbana già vista altre volte sugli schermi e a tratti poco chiara nell’intreccio. I personaggi sono tutti piuttosto tormentati e problematici, che vanno dall’alcolizzato al gay represso. Possiamo definirli personaggi molto ‘noir’ alla James Ellroy. Soprattutto Colin Farrel nela parte dell’ex sbirro caduto in disgrazia, costretto a lavorare per un gangster che cerca di uscire dal giro criminale per diventare un uomo d’affari rispettabile (interpretato da un duro e convincente Vince Vaughn). Il giovane poliziotto (interpretato da Taylor Kitsch) che non riesce ad accettare la propria omosessualità, ricorda un personaggio analogo di un romanzo di Ellroy, Il Grande Nulla. Come da tradizione noir per nessuno di loro ci sarà lieto fine. In sintesi questa seconda stagione, seppur di buona qualità e con ottimi interpreti, non ha volutamente conservato nulla di True Detective 1 e ha pagato a caro prezzo la scelta.

 

Con la Stagione 3 (2019) Pizzolatto cerca di rimediare al disastro della seconda serie tornando all’antico: una affiatata coppia di detective, interpretata brillantemente da Mahershala Ali e Stephen Dorff, si trova invischiata in un caso di omicidio e rapimento ai danni di due bambini che si trascinerà tragicamente per decenni, lungo una vicenda complicatissima che si svolgerà secondo una triplice linea temporale. Si tornerà nuovamente a un’ambientazione sporca e rurale. Sui luoghi dei delitti ricompaiono le spirali, come debole rimando alla prima stagione ma alla fine la soluzione del caso sarà più prosaica (rispetto ai fuochi d’artificio della prima) e rimarrà parzialmente sospesa nel dubbio. A tratti la terza stagione sembra poter eguagliare la prima per quanto riguarda il senso di mistero che avvolge l’intricata indagine e la drammatica intensità del dilaniato protagonista interpretato da Mahershala Ali che rivaleggia con Rust Cohle/Matthew McConaughey, tanto più che si ritrova con il passare del tempo a dover indagare affetto da Alzheimer, con i ricordi che svaniscono inesorabilmente proprio quando si sta avvicinando alla soluzione. Questo rende la storia personale del personaggio particolarmente struggente e angosciante, forse troppo secondo alcuni. Comunque sia la stagione 3, sebbene soffra di qualche lentezza, è la migliore dopo la prima, perché cerca di rinnovarsi in chiave forse più realistica, pur abbracciando la stessa accattivante struttura narrativa e tematica della prima stagione, senza perdere eccessivamente in suspense e mistery. Ovviamente va vista senza far passare troppo tempo tra un episodio e l’altro.

 

La Stagione 4 (2024) intitolata Night Country, nonostante l’ambientazione dark, un plot accattivante e potenzialmente misterioso e ottime interpreti, può essere considerata la meno riuscita tra tutte le stagioni di True Detective. Messo da parte Nic Pizzolatto, l’indiscusso e geniale creatore della serie, a cui viene lasciato solo il titolo “onorario” di produttore esecutivo, prende le redini del comando la regista messicana Issa Lopez che si era distinta con l’horror Tigers Are Not Afraid (Vuelven) del 2017. Night Country ambientata tra i ghiacci dell’Alaska (in realtà girata in Islanda) durante la lunga notte polare, segue le indagini delle agenti Danvers (Jodie Foster) e Navarro (Kali Reis, ex pugile professionista) mentre investigano sulla misteriosa morte in mezzo alla neve di un gruppo di ricercatori scientifici di una locale base di ricerca. Questa nuova serie dà più spazio all’elemento horror soprannaturale che l’oscura ambientazione artica in qualche modo favorisce, rimandando a tematiche ed atmosfere di altri film e serie TV come La Cosa di Carpenter, 30 giorni di buio, Fortitude… Ma Issa Lopez mette troppa carne al fuoco infilando forzosamente molti elementi ideologici/sociali (femminismo, malattia mentale e depressione, tematiche ambientaliste e razziali, religioni e credenze, tematiche lgbtq+) in soli sei episodi che mal si amalgamano con la trama mistery/horror e annacquano e banalizzano i (pochi) colpi di scena, rallentando anche il ritmo della narrazione. La Lopez per dare un contentino ai fan più ‘tradizionalisti’ di True Detective, ricorre a collegamenti (tramite easter eggs) con la prima stagione (a cominciare dall’immancabile spirale) ma si tratta di omaggi vuoti e pretestuosi che non contribuiscono al progredire della trama. Si vuole seguire pedissequamente la ‘moda’ delle donne forti e migliori degli uomini che al contrario sono tutti figure negative, deboli, vili, disoneste, etc… Si perde così lo spirito originario di True Detective, basato sul mistery, sul weird e sul colpo di scena, che invece viene a mancare in Night Country. Infatti la soluzione del mistero degli uomini congelati è abbastanza scontata e deludente. L’entità ancestrale (ovviamente ‘femminile’) che abita sotto i ghiacci, una sorta di Madre Terra, non viene sfruttata pienamente a livello narrativo e rimane un elemento vago e sfocato. La suspense, l’horror e il mistero che erano stati promessi rimangono inespressi. Le volenterose Jodie Foster e Kali Reis si fanno in quattro per superare la coppia Rust/Martin in fatto di misantropia, cinismo, pessimismo, depressione, problemi familiari vari… e forse ci riescono. Ma alla fine ne viene fuori una serie esageratamente cupa, melodrammatica e deprimente con personaggi irritanti, in sintesi noiosa.